Il conduttore tv Marco Predolin. |
Marco, ci ricorda che cosa successe?
«1992, ero al culmine della mia popolarità. Nell’ambiente, messa in giro non si sa da chi, circolò la falsa voce che fossi malato di AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita».
«Qualcosa di strano, impalpabile ma incredibile: iniziarono di botto a non chiamarmi più, a non farmi più lavorare. Una cappa di silenzio, alimentata da voci e tam tam incontrollabili, fece sì che il mio nome mettesse paura: oddìo, il contagiato».
È un ambiente che a volte non ha pietà, quello dello spettacolo.
«C’era proprio il godimento di farla circolare, quella bufala, e ognuno, per renderla più credibile, aggiungeva particolari di fantasia frutto del passaparola. Una volta un produttore str… chiamò un amico, l’autore Marco Balestri, dicendogli: “Sono a Pavia, dove è ricoverato Predolin”». E lui gli rispose: “Peccato che Marco sia qui con me. Ora te lo passo”».
«Non me ne parli: uscì La Notte, un quotidiano del pomeriggio che ora non esiste più, col titolo: “Marco Predolin morto a Pavia”. Presero per buono il lancio di uno speaker radiofonico locale. Anche voi giornalisti, soprattutto quelli della tv, ci avete marciato tanto».
Il vento della calunnia.
«Come quell’altra ghiotta perla che girò a lungo su due famose conduttrici tv che si volevano per forza amanti o su Richard Gere malato in un ospedale romano infettato da un topo finito chissà dove».
«Contro le leggende metropolitane non puoi fare nulla, ma quella cosa procurò alla mia carriera un danno davvero rilevante. E se dopo quasi trent’anni siamo ancora qui a parlarne…».
Girava anche con un certificato...
«Avevo fatto il test che accertava la mia sieronegatività: andai da Costanzo a mostrarlo in tv e poi tenevo sempre quel foglietto in tasca, per placare gli increduli. Fui letteralmente travolto da queste dicerie. In fondo andò peggio a chi ebbe la vita completamente rovinata perché tacciato di essere portatore di sfiga, come Mia Martini e Mino Reitano».
«Quando mi fermai in un autogrill a predere un cappuccino, e poi andandomene sentii chiaro uno dei due baristi dire all’altro: “Lavala bene, quella tazza, perché quello è malato”. Cose che fanno male. Questo episodio mi ha ricordato quello recente di cronaca della signora di Ischia che ha preso a insulti i due pullman di presunti untori di Coronavirus dal Veneto. Ma ci rendiamo conto?».
Lei, con i dovuti distinguo, è come se avesse vissuto nell’ormai famosa «Zona Rossa».
«Non le invidio per niente, queste persone. Perché temo che anche quando tutta questa storia, gestita male dal nostro Governo, sarà finita, non riavranno la loro stessa vita sociale. Saranno sempre quelli di Codogno e dintorni. L’ignoranza impera».
«Perché gli altri Paesi europei hanno adottato un low profile, sono stati più “schisci”, come si dice a Milano. Noi subito a farci belli, a far vedere che siamo bravi, a pompare sui media, e ora col turismo agli occhi del mondo, come la mettiamo? Anche il Governatore della Lombardia, Fontana, che fa il video con la mascherina. Ma si può?».
Un danno d’immagine?
«Lo stesso che credo avrà Ischia per colpa di quell’incauta signora che crede di vivere in un talk del pomeriggio, e che credo ora sia ricercata da tutti gli albergatori ischitani».
«Oggi c’è più ironia, anche sui social. Ai miei tempi tutto fu preso molto più sul serio. Ma d’altra parte si tratta anche di situazioni in larga parte diverse».
Adesso lei che cosa fa?
«Sono rientrato appena in tempo da un viaggio a Bali, dove ho fatto incetta di vestiti: ho un negozietto di abbigliamento accanto al mio ristorante di Porto Rotondo, “Pirati italiani”. Necessitava di un approvvigionamento».
(DAL SETTIMANALE OGGI - MARZO 2020)