Dodi Battaglia, il leggendario chitarrista dei Pooh. |
Non fate notare a Dodi Battaglia che i Pooh hanno già festeggiato 50 anni di carriera (per poi sciogliersi), perché lui giustamente puntualizza: «Attenzione, io però entrai nella band nel ’68, quindi i 50 di mestiere li ho appena compiuti. E anche celebrati, con un live a Bellaria Igea Marina davanti a 26 mila persone. C’erano amici, guest come Mario Biondi, Luca Carboni, Gigi D’Alessio, Marco Masini, Silvia Mezzanotte, Mietta, Enrico Ruggeri, Maurizio Solieri e Fio Zanotti. È diventato un doppio cd: “Dodi Day”».
Adesso, però, stiamo un po’ tranquilli.
«No, ora sto facendo un tour teatrale: un progetto che si chiama “Perle – Mondi senza età”. Sono andato a ripescare pezzi amati dal pubblico ma poco suonati dal vivo. Atmosfere sofisticate, che poco si adattavano al nostro tipico clamore da stadio. Non solo lati B. Anche cose pregevoli, mica “La bambolina che fa no no no”. Credo che anche questo tour diventerà un disco».
I discografici vanno accontentati.
«Guardi, i discografici non sanno neppure più loro che cosa vogliono. Li vedo smarriti, che dicono un giorno: “Facciamo i rapper”. Poi: “No, i giovani ma col remix”; “No, facciamo quelli dei talent”; “No, meglio i vecchi: rischi meno e danno sempre un fisso garantito”. È dura per tutti: li capisco».
L’impressione, vedendovi fa fuori, è che voi Pooh vi siate divisi dopo 50 anni di carriera e un anno intero di celebrazioni, non vedendo l’ora di iniziare poi a lavorare ognuno per proprio conto.
«Mi spiace davvero se abbiamo dato questa impressione. Però in parte capisco, se qualcuno può averla avuta. Anche perché se poi, dopo due mesi, rivedi tutti a Sanremo… Io tra l’altro non sono stato, lo ammetto, tra i più grandi fautori di questa chiusura. Però bisogna comprendere che ci sono le individualità. Noi comunque, anche se ci sciogliamo, agli occhi della gente resteremo sempre i Pooh».
Un marchio indissolubile?
«Un matrimonio, anche se finisce. Ma è giusto così. Il legame di fatto resta. Sono sicuro che se uno di noi fa un concerto da un milione di persone, un altro va dal manager e gli dice: “Oh, a me ne vorrai far fare uno da almeno 500 mila?”».
Un ricordo della sua carriera che non sia legato ai Pooh.
«Anni 80. La sera in cui andai in una villa padronale che Vasco Rossi aveva affittato in collina, sopra Riccione, per portargli un pezzo che avevo scritto per lui. C’era, ovunque, una varia umanità policroma incredibile: giovani, vecchie signore, commendatori. Mai visto niente di più variegato. Entro in una stanza, e a un antico tavolone austero era seduto Vasco: estrae il microfono e l’asta dal cassettone e inizia a cantare. Sembrava un concerto fatto al rogito, da un notaio».
Nel 1984, con gli altri, incideste un disco alle Hawaii, «Aloha».
«C’era questo studio di registrazione rinomatissimo, a Maui, dove andavano i più grandi, da Jagger a George Benson. Aveva una fama incredibile. Arriviamo e prendiamo atto che lo studio non era male, ma in fondo niente di che. Normale. Indagini più approfondite ci fecero scoprire che nei dintorni c’era un’enorme piantagione di marijuana di prima qualità. Abbiamo capito così il motivo della buona nomea dello studio. Un giorno il proprietario ci disse che nei giorni successivi sarebbe passato Mick Jagger. Lì fra noi inizio la gag: “Sì, però qui è impossibile lavorare con questi Rolling Stones sempre tra le balle!”».
Siete stati anche ai Caraibi…
«Per dieci giorni in spiaggia, nelle pause, facemmo il bagno con Sting e sua moglie Trudie Styler. Fra gli italiani non posso non segnalare quella sagoma di Gigi D’Alessio».
Che cosa combina?
«Ogni volta che lo incontro - ogni volta - mi rinfaccia in napoletano stretto molto colorito di non avergli fatto un autografo dopo un concerto negli Anni 80 all’Ippodromo di Agnano. Di solito li faccio. Quella sera scappai dalla folla con la mia Porsche azzurra metallizzata. E lui ce l’ha ancora a morte. Per fortuna c’è Luca Carboni».
Che inavece non ce l’ha con lei.
«No, lui prima di avere successo faceva il commesso in un negozio di scarpe a Bologna, e ancora racconta estasiato di quando entrai a comprarne un paio».
I Pooh e quell’immagine unita sempre impeccabile. Però qualche “contenzioso” fra voi l’avrete avuto…
«Semplice e sano spirito di competizione. Il problema, essendo in quattro, cioè un numero pari, era su alcune decisioni da prendere. Se eravamo tre contro uno, nessun problema. Sul due a due ci bloccavamo. Invece di tirare la moneta facevamo decidere alla prima persona che passava in corridoio: una cameriera, la segretaria, chiunque».
Non male come metodo. Le frizioni maggiori saranno state sui pezzi da inserire negli album, immagino.
«Una volta mi misi di traverso. Avevamo la regola che l’autore della musica decideva. Il pezzo l’avevo scritto io su testo di Valerio Negrini e lo volevo cantare io a tutti i costi. Il resto del gruppo decise che a cantarlo fosse un altro. Non volli sentire ragione e arrivai al punto di ritirare la canzone».
Che peccato…
«Sì, ma poi uscì comunque con la musica cambiata e lo stesso testo: era il “Il volo della colomba” e la cantò Facchinetti».
Le chiedo uno sforzo: mi dica il principale difetto di ognuno dei Pooh. Lei compreso naturalmente.
«Ci sto soltanto se mi fa dire prima anche i pregi».
È andata. Il tastierista Roby Facchinetti.
«È uno tra i migliori autori d’Italia e una tra le più belle voci. È anche, di carattere, molto trascinante: così come, quando è in fase entusiastica, ti porta alla luna, alla vertigine, così bisogna tutelarsi quando è in quella negativa e con la stessa veemenza ti trascina all’abisso. Bisogna prendere pro e contro».
Il bassista Red Canzian.
«È uno straordinario comunicatore. Ha una capacità di convincimento incredibile: piazzerebbe ghiaccioli agli eschimesi. La sua capacità di convincimento però purtroppo è talmente grande, che a volte riesce a convincere anche se stesso quando magari non è il caso. Lì viene il difficile».
Il batterista Stefano D’Orazio.
«La persona più simpatica che conosca: intelligente, con mille attività e interessi. Ecco, a volte, portandone avanti così tanti tutti insieme, non sempre alcuni arrivano a definirsi».
Chiudiamo con lei, il chitarrista Dodi Battaglia.
«Sono una persona con una grande sensibilità, nel bene e nel male. E nel mio mestiere la sensibilità non è mai troppa».
Mancano i difetti.
«Io non ho difetti».
Ma figurarsi.
«Anch’io sono uno che lascia un po’ correre: a volte mi perdo via, tralascio. Non metto sempre la stessa enfasi o impegno. D’altra parte la vita è mia, decido io, e finora mi sono sempre trovato abbastanza bene».
(DAL SETTIMANALE OGGI - NOVEMBRE 2018)
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