Il giornalista Cesare Barbieri. |
Mi ha molto colpito la morte di un collega della mia età, che conoscevo ben poco e che avevo (per qualche sguardo un po' in cagnesco e modi sbrigativi che mi aveva dedicato, un paio di volte che ci incontrammo a Pavia, tantissimi anni fa) piazzato nella scatola sbagliata. Mi accorsi dell'errore di catalogazione un paio d'anni fa, a una cena in piedi in un bel giardino pavese, dove ci ritrovammo ospiti di una comune amica. Ci fermammo a parlare come non avevamo mai fatto e fu il contrario di quel che mi aspettavo: generoso di affetto, di stima, di dettagli privati. Mi raccontò persino di una grave malattia che l'aveva tormentato per un po' e che gli stava dando tregua. Fu infinitamente gentile e molto umano. Tanto che fui costretto a dirgli: «Senti, ma ho sempre pensato di starti pesantemente sul culo, e mi ero adeguato. Adesso che cosa fai? Mi costringi a cambiare parere. Vergognati». Si rise parecchio, con la promessa di ribeccarsi «in giro» quanto prima. Quelle cose che dici e che poi non fai mai, ma che in queste circostanze si dicono sempre. Ciao Cesare, sei stato uno fra i miei più grossi errori di valutazione. Mi piace pensare a un concorso di colpa.