Un'immagine della graphic novel «Adrian». |
Ecco la sentenza dei numeri: la prima parte dello spettacolo dal vivo al Teatro Camploy di Verona è stata vista da 5.997.000 spettatori con una share del 21,9%. Il cartone ha invece registrato 4.544.000 con il 19,1%. Subito dopo c'è stato il formidabile crollo che ha portato il segmento finale a 2.351.000 teste e 12,12%.
Insomma, la media di spettatori e share è di 4.297.000 con il 17,70%. Vince su Raiuno «La compagnia del cigno», con 5.219.000 e il 21,36% di share. Consideriamo inoltre che il programma è finito tre quarti d'ora prima del previsto e che costa, stando a qualche versione 20, stando ad altri 26 milioni di euro. La montagna partorisce il topolino, insomma.
Per ciò che riguarda lo show, Celentano, il mago delle scaltre attese per fare ascolto, è il non pervenuto della prima puntata. Si è visto di sfuggita un paio di minuti; per ora ha mandato avanti il surreale Nino Frassica e l'impegnato, sferzante Natalino Balasso, l'unico col quale si è brevemente interfacciato, per poterne assorbire di riflesso lo spessore. Un trucco vecchio come il mondo. Anche perché il Maestro dei trucchi, quando fa i suoi sermoni invece di cantare (l'unico motivo per il quale lo si ama) in realtà non dice niente. Farfuglia un po' di banalità e cosette di buon senso, ma le attendi con la stessa predisposizione d'animo con cui attendi un calcio negli zebedei la mattina prima del caffè.
A occhio credo che la strategia di contenimento della rete e del Clan Celentano (leggi Claudia Mori), non sia del tutto stupida, se ci si pensa. Tenere il vero Adriano nelle retrovie nelle prime due puntate e sbarazzarsi così in due serate ravvicinate del terrificante «Adrian». Tolto di mezzo il mappazzone, il nostro sarà libero di cantare nelle successive. Con benefici sullo share. In pratica: si rischia al debutto, dove comunque c'è il grande beneficio dell'effetto curiosità, e poi ci si rifà nelle settimane successive. Se nel frattempo non sono scappati tutti.
A proposito di «Adrian» mi piace comunque notare come nel cartoon, ambientato in un 2068 dittatoriale, l'orologiaio Celentano, che non riesce a staccarsi dalla propria mitologia, canti per caso durante uno show una canzone dal testo così forte da poter cambiare i destini del mondo e far tremare i cattivi di turno.
Ancora una volta ci prende per il «Prisencolinensinainciusol».