Valerio Mastandrea, protagonista di «The Place» |
Si tratta sempre di un film dall'impianto teatrale, come vuole (pare) il marchio del regista romano, ma qui il manca il guizzo del suo precedente lavoro.
In scena domina il bravo Valerio Mastandrea, misterioso personaggio che in un bar del centro riceve un campionario di varia, italica umanità, svolgendo un lavoro maieutico: è lì per distillarne meschinità, eroismi, voltafaccia, bassezze e grandezze con la promessa di soddisfare miracolosamente un loro desiderio. C'è l'anziana incaricata costruire e piazzare una bomba per guarire il marito dall'alzheimer; il padre col bimbo malato che per salvare il figlio deve uccidere una bambina; il meccanico che deve salvarla in cambio di una notte con la bella da calendario; la suora in crisi vocazionale che per ritrovare Dio deve perderlo, ecc, ecc. Sullo sfondo l'empatica cameriera Sabrina Ferilli.
Ma dopo un po' che la sfreghi, la lampada del Genio smette di fare luce. L'idea di fondo si rivela fragile e monocorde. Emergono gli intrecci fra i personaggi, questo sì, ma parlarsi addosso per un'ora e 45 minuti non fa bene al cinema. E neanche allo spettatore. Che prima rimane suggestionato, e poi deluso. Peccato, perché in Genovese il talento è innegabile. Soprattutto quello di fare incassi a basso costo con film di soli dialoghi.
Perché non prova a chiedere a quel Diavolo di Mastandrea che cosa deve fare per vedersi affidato un film vero?