Paolo Villaggio |
Se dovessi indicare uno dei dieci punti di riferimento del mio percorso di cultore dello spettacolo e anche di cinefilo, ai primi posti metterei senz'altro quel genio pigro e compreso di Paolo Villaggio. L'uomo che con i ragionieri Fracchia e Fantozzi ha tratteggiato meglio di Leonardo Da Vinci e con una realistica spietatezza senza pari la figura del travet italiano e le meschine logiche della vita d'ufficio. L'attore ligure, 84 anni, si è spento al Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato da alcuni giorni. Con la morte scherzava spesso. Anzi, sempre. Per esorcizzarla e perché sapeva che mettendola in mezzo una risata cinica la strappava senza fatica. Mestiere.
Faccio un passo indietro per ricordare quando conobbi Paolo, una vita fa, al festival della tv Numero Zero, a Merano. Lavoravo per il quotidiano il Giornale e lui era ospite dell'organizzazione insieme con Neri Parenti, regista di riferimento degli ultimi capitoli della saga del ragioniere più sfigato d'Italia nata con Luciano Salce. Incontravo un mio mito durante il gala di chiusura, quindi mi tremava anche il colon. Nonostante tutto, ebbi il coraggio di «cazziarlo» per avere ucciso, con troppe repliche incolori e con la complicità di Parenti, la maschera più bella del cinema italiano. Rimase molto colpito da questa mia schiettezza, mi diede anche parzialmente ragione (alle necessità del portafogli spesso non si comanda) e ci lasciammo con un sorriso.
Nel libro, un capitolo scritto da Paolo Villaggio. |
Grazie Paolo, per tutto. Per le risate, su carta e pellicola. Per il tuo genio un po' buttato via, a volte. Per un cinismo che era rosolio. Era miele. Perché la tua imitazione, che ho in repertorio da una vita, me la gioco sempre nei momenti migliori. «Fantozzi» è stata la tua Gioconda. E parafrasandoti lasciami fare per una volta la parte del ragionier Filini: «Muori, muori lei!». Che cosa fa, mi dà del tu?». «Mannò, è congiuntivo!».