«La Tv abbassa», di Franco Bagnasco |
Massima solidarietà alla concorrente valdostana di «Affari tuoi» definita «Nana demmèrda» dal conduttore romano. Una solidarietà che è doppia, signora cara, perché io (non faccio per vantarmi) fui «Nano» molto prima di lei. In tempi non sospetti, per così dire. Lei l'ha saputo dalla tv; a me lo dissero delicatamente in faccia.
Ma andiamo con ordine. L'episodio merita, dunque non posso esimermi.
Correva l'anno 2010, e il mio giornale mi mandò in una villa fuori Roma utilizzata come set per «La pupa e il secchione - Il ritorno», il reality-game in onda su Italia 1. Dovevo realizzare un servizio accompagnato da Iwan Palombi, apprezzato fotografo della piazza romana. Premessa. Quel marcantonio di Iwan è il classico bel ragazzo: alto, prestante, che fa sdilinquire sia artiste che addette stampa. Uscire con Iwan per un servizio è una vera dannazione e mette a dura prova la tua autostima. La puoi solo buttare (come ho quasi sempre fatto, peraltro) solo sulla penna e la simpatia.
Entrati nel villone, tra cavi e ponti per le luci, dopo i convenevoli, scendiamo verso la taverna, dove su un divano ci aspettano le sexy pupe reclutate come concorrenti. Dei meno piacenti secchioni ci saremmo occupati dopo. Iwan cammina davanti a me con le sue borse (io sono un bel po' di passi dietro), e sbuca nel salone, dove dal divano parte una ola di gridolini fintamente trattenuti, mugolii di piacere, e apprezzamenti scomposti. Insomma, quel che succede normalmente quando il maledetto Iwan (si scherza) compare in una location. Poco dopo arrivo io, quatto quatto col mio taccuino e la biro. Dal divano, che si è fatto più silenzioso, parte come una freccia che mi arriva alla giugulare la seguente frase: «Ah, ma c'è pure il nano...». Silenzio.
Guardo la fanciulla napoletana (non ricordo il nome e comunque non voglio esporla, anche perché credo che poi abbia subito severissime pene corporali) e rimango lì, allargando le braccia e annuendo sommesso con quella faccetta che tiri fuori quando non sai che cosa dire. Poi mi esce un: «Esatto». Attorno, tensione e panico. Quello vero, che puoi sciabolare come Zorro. Entrata a gamba tesa dell'addetta stampa che segue il programma: «Questo è il fotografo, e QUESTO (mi indica a sei mani) è il giornalista che dovrà intervistarvi!». E lo dice col tono punitivo della Signorina Rottermeier, digrignando i denti. Sul divano i sorrisi si spengono, le facce si abbassano, cupe. La Pupa incriminata esala un «Ah...» e diventa bianca come la neve.
L'addetta stampa si china un po' e mi soffia all'orecchio: «Franco, ti prego, scusa, scusaci tantissimo, davvero: queste sono sceme, sennò nun le pigliavano pe' fa le pupe». «Sì, ma tranquilla, non ti preoccupare, passiamo oltre», dico sfoderando il mio sorriso più rassicurante. Lì accanto c'è un'altra signora della produzione che mi guarda implorando pietà e sta per avere un mancamento.
Intanto, io rimugino sul mio 1.71 (a quell'uno tengo molto, da sempre) che ritenevo una cosa tutto sommato onesta. Per carità, non certo le alte vette, ma l'onestà. Non chiedevo altro. E più che con la pischella stolta, mentalmente, me la prendo con quel diavolo di Iwan che poverino è lì, imbarazzato anche lui, e non sa che cosa dire. E che invece dovrebbe rendersi conto che espone la gente a confronti impietosi. «Li mortacci», direbbe Insinna.
Ripensando oggi a quell'episodio, che spero vi abbia fatto sorridere, mi vengono alla mentre tre cose:
1) Sarebbe stata una storia perfetta da aggiungere al mio «Il peggio della diretta».
2) La ragazza oggi l'ho perdonata, ma credo che voi vorrete perdonare me sapendo che nell'articolo scritto a seguito di quella trasferta, l'ho ignorata. Siamo esseri umani.
3) Se la incontro oggi mi tocca persino ringraziarla per non avere aggiunto: «Demmèrda». A posteriori, lo dico col cuore, sto apprezzando tantissimo.