mercoledì 10 febbraio 2016

CROLLANO LE BORSE, MA SANREMO TIENE: BENE ARISA, BLUVERTIGO, STADIO E RUGGERI

Il Paese è salvo: crollano le Borse europee, ma Sanremo, per ora, tiene: 11 milioni e 134 mila spettatori con il 49,5% di share (metà della platea televisiva, in media ponderata fra le due parti): poco meno dello scorso anno per il Festival di Carlo Conti, solito impeccabile cerimoniere di uno spettacolo che qualche noia l'ha data, ma non sul piano delle canzoni. Alcuni pezzi meritavano davvero, come quello dei Bluvertigo, che se fosse stato affidato non a Morgan ma a uno che sa cantare, avrebbe fatto miracoli. Anche la pagina intimista degli Stadio aveva il suo perché, pur necessitando di più ascolti per entrare in familiarità. Arisa (un po' malmostosa a quanto pare in questi giorni, come si è visto al Dopofestival) aveva una bella canzone, consolante panacea per la solitudine metropolitana d'oggidì, scritta come sempre dall'ex fidanzato Giuseppe Anastasi. E poi Enrico Ruggeri, che dimentica lo spot dei salumi e ci fa sognare per un attimo di essere tornato quasi il rouge dei tempi migliori. 
Pur con qualche sbavatura, anche il pezzo dei Dear Jack aveva l'impronta del classicone festivaliero degno di miglior critica, a mio avviso. Un recupero dell'orecchiabilità che si sta perdendo. E non sempre è un male, sia chiaro. Non troppo a fuoco, invece, Noemi, anche perché Quello che le donne non dicono è stata una pagina definitiva sull'universo femminile. Usare la metafora della borsetta per raccontarlo, fa un po' saldi di fine stagione. 

Le due vallette, Madalina Ghenea e Gabriel Garko, lei silente e statuaria con 15 cambi d'abito, lui macchina acchiappa audience femminile con un cambio d'espressione, hanno fatto quel che potevano per tenere botta, non essendo il loro mestiere. Strepitosa, come sempre, Virginia Raffaele, che ha fatto ridere calandosi nei panni della Ferilli. Già, perché se avessimo dovuto spanzarci con la gag stagionata come lo stilton di Aldo, Giovanni e Giacomo, si poteva stare freschi. 25 anni di carriera senza andare a Saremo, erano un traguardo che si poteva prolungare.

Laura Pausini sempre brava ma parla troppo, incartandosi nella consueta retorica strapaesana che tanto ama. Le è stato dato ampio spazio (fra un blocco pubblicitario e l'altro), e quando canta detta legge. Se fa la ragazza di Solarolo che ha conquistato il mondo, ci si diverte un po' meno. Prenda esempio da sir Elton John, che zitto zitto ha piazzato i suoi tre capolavori, lasciando perdere persino il traino di visibilità della step-child adoption, e ha guadagnato l'uscita rischiando quasi di cadere.


Al Dopofestival mi ha divertito soprattutto l'idea, molto faziesca (o chiambrettiana) di Nicola Savino di prendere Orietta Berti come commentatrice. E il mix con la Gialappa's band funziona.
Il resto, all'Ariston, è contorno festivaliero, piccole gag per liberare il palco, riempitivi. Conti sta facendo, come al solito, un buon lavoro. Non ci si accorge quasi di lui, e questo è il grande segreto di chi oggi fa (bene) televisione.

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