Sballottato tra la Norvegia e l'Africa, nella strenua difesa di quel posto fisso che sognava sin da bambino e che una crudele funzionaria statale gli vuole strappare, Checco Zalone da Capurso fa ancora centro con il suo «Quo vado?». E trova, ovviamente, l'amore.
Il copione, intendiamoci, è quello di sempre: si ride del solito, sterminato repertorio di italici luoghi comuni. Col pugliese sfaticato tutto mamma e raccomandazioni, quaglie a pranzo e casse di ciliegie che comprano il timbro sulla concessione; selfie col leone e nostalgia dell'emigrante. Con il solito mix di leggerezza e realtà ironica aumentata creato con il lavoro dietro le quinte di Gennaro Nunziante.
Zalone acchiappa tutta l'Italia, per giunta trasversalmente tra fasce sociali, perché deride il meridionale tipo (almeno l'immagine stereotipata che da sempre ci arriva dai media) senza giudicarlo. Anzi, conquista la parte meno avvertita della platea perché esalta la compiaciuta furbizia strapaesana, e diverte quella «alta» e scolarizzata perché la fa sentire più intelligente dell'altra metà giocando su una satira che in ultima analisi risulta spietata.
Analisi strutturali a parte (che il nostro sicuramente liquiderebbe con una battuta feroce) 14 milioni di euro di incasso in soli due giorni non sono uno scherzo.
Viva Checco, che almeno una volta all'anno porta al cinema chi non ci va mai.
Il copione, intendiamoci, è quello di sempre: si ride del solito, sterminato repertorio di italici luoghi comuni. Col pugliese sfaticato tutto mamma e raccomandazioni, quaglie a pranzo e casse di ciliegie che comprano il timbro sulla concessione; selfie col leone e nostalgia dell'emigrante. Con il solito mix di leggerezza e realtà ironica aumentata creato con il lavoro dietro le quinte di Gennaro Nunziante.
Zalone acchiappa tutta l'Italia, per giunta trasversalmente tra fasce sociali, perché deride il meridionale tipo (almeno l'immagine stereotipata che da sempre ci arriva dai media) senza giudicarlo. Anzi, conquista la parte meno avvertita della platea perché esalta la compiaciuta furbizia strapaesana, e diverte quella «alta» e scolarizzata perché la fa sentire più intelligente dell'altra metà giocando su una satira che in ultima analisi risulta spietata.
Analisi strutturali a parte (che il nostro sicuramente liquiderebbe con una battuta feroce) 14 milioni di euro di incasso in soli due giorni non sono uno scherzo.
Viva Checco, che almeno una volta all'anno porta al cinema chi non ci va mai.