Vorrei dirvi che ieri ho passato una bella domenica di fine novembre. Vorrei tanto, di cuore, ma non posso.
Non posso perché nel weekend, in bagno, mi si è rotto il Sanitrit. Chi non sapesse di che cosa sto parlando, se lo faccia spiegare, lo cerchi sul web, o lo intuisca. Ho gli entusiasmi un po' appannati, in questo momento...
Il Sanitrit è quella cosa della quale non ti accorgi, finché non si guasta. E il mio, che ha uno straordinario senso dello spettacolo, si è rotto esattamente come avrebbe fatto il proprietario: in modo spettacolare. Esplodendo. Stappandosi come una bottiglia di Champagne millesimato dopo qualche avvisaglia di malore data il giorno prima. Solo che poi la materia che ti schizza ovunque, sul pavimento, non è Champagne. Fra l'altro ho il bagno cieco. E ieri, nei momenti più difficili, mi ha confidato che avrebbe voluto essere anche privo di olfatto. O forse era una mia allucinazione? Non so.
So che quando ti metti nell'impresa di pulire una cosa del genere, in quello che si può tranquillamente definire uno tra i peggiori disastri domestici del dopoguerra, ti passa davanti tutta la tua vita. E anche una parte non trascurabile della tua carriera. Devi mettere in salvo disperatamente le cose. Tutto ti sembra (o è) contaminato. Il fluido malefico s'insinua in ogni pertugio. Ti aggrappi alla flebile speranza di un paio di vecchie scarpe da ginnastica per guadare il fiume. E butti fogli di giornale ovunque, per tamponare. A proposito, chi ha detto che la carta stampata è in crisi? Messa così, come la mettevo io ieri, la carta aveva un roseo, radioso, splendente futuro. Il perché salvifico che forse non ha mai avuto. C'era etica e mestiere in quel mio agire estenuato.
Poi, in tuta, esci di casa, vai al Carrefour all'angolo e compri quattro litri di candeggina, stracci, guanti usa e getta, il set completo di Mocio lavapavimenti e anche un sacchetto di rucola, perché l'hai finita. Alla cassa, il ragazzo indiano ti guarda con mezzo sorriso fra il sarcastico e il compassionevole. Nessuno mi toglie dalla testa che fosse per via della rucola. Come quelli che andavano in edicola a comprare il film porno, e lo nascondevano in una copia del Sole 24 ore. Ma per nascondere tutto quel materiale detergente mi sarebbe servito un campo di rucola.
A casa, mentre mogio mogio passi il Mocio, nel pieno delle operazioni (l'ora del disastro è stata attorno alle 10 a.m., con chiusura degli interventi nell'area da bonificare verso le 15.30 p.m., compresa pausa pranzo fatta con animo comprensibilmente disgustato) vuoi che non ti venga voglia di fare pipì? È lì che ti sfili i guanti e guardi l'accogliente bidet con occhi nuovi, diversi. Per poi ricominciare, instancabile quel lento su e giù. Quel frustrante via vai. Che ti fa riflettere sulla nobiltà dei lavori manuali. Che hai sempre cercato di evitare, nella vita. E se c'era un perché, fatica a parte, lo avvertivi con forza inaudita una domenica pomeriggio di fine novembre. Poi - e non può essere diversamente -, rifletti sul fatto che a bocce ferme un pezzo su questa incredibile esperienza lo dovrai pur scrivere (se non altro per liberarti, restando in tema), cercando di non nominare mai la parola tanto cara a Cambronne.
Si stima che ora il mio bagno saprà di candeggina per i prossimi 5 anni. Ci potrebbero registrare una puntata di «Masterchef».
Comunque, in definitiva, avete presente «50 sfumature di grigio»? Ecco, erano di marrone.
Non posso perché nel weekend, in bagno, mi si è rotto il Sanitrit. Chi non sapesse di che cosa sto parlando, se lo faccia spiegare, lo cerchi sul web, o lo intuisca. Ho gli entusiasmi un po' appannati, in questo momento...
Il Sanitrit è quella cosa della quale non ti accorgi, finché non si guasta. E il mio, che ha uno straordinario senso dello spettacolo, si è rotto esattamente come avrebbe fatto il proprietario: in modo spettacolare. Esplodendo. Stappandosi come una bottiglia di Champagne millesimato dopo qualche avvisaglia di malore data il giorno prima. Solo che poi la materia che ti schizza ovunque, sul pavimento, non è Champagne. Fra l'altro ho il bagno cieco. E ieri, nei momenti più difficili, mi ha confidato che avrebbe voluto essere anche privo di olfatto. O forse era una mia allucinazione? Non so.
So che quando ti metti nell'impresa di pulire una cosa del genere, in quello che si può tranquillamente definire uno tra i peggiori disastri domestici del dopoguerra, ti passa davanti tutta la tua vita. E anche una parte non trascurabile della tua carriera. Devi mettere in salvo disperatamente le cose. Tutto ti sembra (o è) contaminato. Il fluido malefico s'insinua in ogni pertugio. Ti aggrappi alla flebile speranza di un paio di vecchie scarpe da ginnastica per guadare il fiume. E butti fogli di giornale ovunque, per tamponare. A proposito, chi ha detto che la carta stampata è in crisi? Messa così, come la mettevo io ieri, la carta aveva un roseo, radioso, splendente futuro. Il perché salvifico che forse non ha mai avuto. C'era etica e mestiere in quel mio agire estenuato.
Poi, in tuta, esci di casa, vai al Carrefour all'angolo e compri quattro litri di candeggina, stracci, guanti usa e getta, il set completo di Mocio lavapavimenti e anche un sacchetto di rucola, perché l'hai finita. Alla cassa, il ragazzo indiano ti guarda con mezzo sorriso fra il sarcastico e il compassionevole. Nessuno mi toglie dalla testa che fosse per via della rucola. Come quelli che andavano in edicola a comprare il film porno, e lo nascondevano in una copia del Sole 24 ore. Ma per nascondere tutto quel materiale detergente mi sarebbe servito un campo di rucola.
A casa, mentre mogio mogio passi il Mocio, nel pieno delle operazioni (l'ora del disastro è stata attorno alle 10 a.m., con chiusura degli interventi nell'area da bonificare verso le 15.30 p.m., compresa pausa pranzo fatta con animo comprensibilmente disgustato) vuoi che non ti venga voglia di fare pipì? È lì che ti sfili i guanti e guardi l'accogliente bidet con occhi nuovi, diversi. Per poi ricominciare, instancabile quel lento su e giù. Quel frustrante via vai. Che ti fa riflettere sulla nobiltà dei lavori manuali. Che hai sempre cercato di evitare, nella vita. E se c'era un perché, fatica a parte, lo avvertivi con forza inaudita una domenica pomeriggio di fine novembre. Poi - e non può essere diversamente -, rifletti sul fatto che a bocce ferme un pezzo su questa incredibile esperienza lo dovrai pur scrivere (se non altro per liberarti, restando in tema), cercando di non nominare mai la parola tanto cara a Cambronne.
Si stima che ora il mio bagno saprà di candeggina per i prossimi 5 anni. Ci potrebbero registrare una puntata di «Masterchef».
Comunque, in definitiva, avete presente «50 sfumature di grigio»? Ecco, erano di marrone.