Non dire Cat, se non ce l’hai
nel sac. Ovvero, non basta un Cat Stevens a fare Festival (e primavera), quando
si confeziona un Sanremo autoreferenziale, sfarzoso ma debole (e soprattutto
noiosissimo) come ha fatto ieri la squadra autorale di Fabio Fazio. Che infatti
– nonostante il debutto pulp con gli operai minaccianti suicidio
dall’impalcatura, un classico baudiano - ha perso considerevolmente spettatori
e share rispetto allo scorso anno.
Don Fabio (ma nel ramo
fiction funziona di più «Don Matteo») era più impegnato a imbastire «Che tempo
che Festival» che non il classico sanremone amato dal pubblico. Del resto aveva
due canzoni per ciascun cantante da diluire in più di quattro ore di
spettacolo. Un’impresa disperante per chiunque. Così i cantanti si ritrovavano
soli (i migliori in campo Gualazzi e De Andrè) a sentire l’eco del nulla come
le particelle di sodio in acqua Lete. La Littizzetto rifaceva perennemente se
stessa, e anche il grande Curzio Maltese era totalmente fuori contesto. Avesse
portato anche Saviano, il conduttore avrebbe fatto tombola.
E persino Beppe Grillo,
disinnescato dalla protesta degli operai, è stato muto in sala concedendosi solo
un polemico dietro le quinte al bar dell’Ariston, ammazzando anche quest’effetto
sorpresa che avrebbe fatto comodo alla Rai.
Brutta storia per il
dimagritissimo Fazio, che pur di riempire il tacchino ieri ha cantato più degli
interpreti in gara, concedendosi un imbarazzante siparietto modello Bagaglino
con Laetitia Casta. Che non avrà ancora sistemato i denti ma almeno, gliene va dato atto, ha fatto qualcosa.
Dimenticavo: nota di merito per la leggerezza del pre-Festival di Pif. L'unico che si salvava della combriccola.
Dimenticavo: nota di merito per la leggerezza del pre-Festival di Pif. L'unico che si salvava della combriccola.