Ieri
al teatro Pime di Milano Marco Ferradini (quello di "Teorema")
confezionava una serata dedicata ad Herbert Pagani. Per chi non lo
conoscesse, un dannato talentone. Poliedrico, eccentrico, sensibilità
non comune, nato a Tripoli e morto di leucemia in America ad appena 44
anni. Non prima di averci lasciato un pugno di pezzi indubitabilmente
evocativi che Ferradini ha riunito in un doppio cd, "La
mia generazione", che mi sono subito accaparrato perché è una di quelle
cosette di gran pregio che è un peccato lasciare a prendere polvere su
una bancarella.
Pagani ha scritto alcune canzoni di cui manco conoscevo
o ricordavo l'esistenza ("Lombardia", per esempio, o "Cin cin con gli
occhiali"), eppure erano tutte vive, palpitanti, semplici ma di quella
semplicità che non si trasforma mai in banalità (il confine, spesso, è
sottilissimo e facile da oltrepassare). E il gruppo in scena, che
annoverava anche Marta Charlotte, figlia di Ferradini, voce e tastiere,
le ha fatte riaffiorare tutte. In una serata tributo onesta, vera, senza
retorica. Dove erano soprattutto le belle canzoni a parlare. Perché le
belle canzoni - quando sono veramente belle - hanno uno strano pregio: invece di
cantare, ti parlano.