Ogni
tanto qualcuno che legge le mie cosette, qui o altrove, colto da
inspiegabile entusiasmo, mi dice: «Dai, perché non scrivi un libro?». E
lo dice con affetto, a volte con insistenza, o con ammirazione. Io
ringrazio, ovviamente, sempre. E poi declino, ma mi fermo lì, non
spiego; perché dovrei mettermi ad argomentare le mie tante perplessità.
Lo faccio ora.
Non è escluso che prima o poi (siamo onesti, facciamo poi) raccolga qualche scemata o riflessione in un volumetto, ma la mia idea di libro, di vero libro, è un'altra. Per scriverne uno come Cristo comanda ci vogliono una bella idea, e un grande lavoro. Tempo e fatica. Tanto, dell'uno e dell'altra. Il primo, mi manca ma volendo si potrebbe anche trovare. La seconda, essendo pigrissimo, non ho granché voglia di sobbarcarmela. Soprattutto a fronte di un'incerta vendita. Perché non dimentichiamo che in questo Paese gli scrittori (vedi il bestiario di «Masterpiece») li trovi in offerta 3x2 anche nei cestoni degli Autogrill. I lettori invece sono specie prossima all'estinzione. Senza scomodare la crisi. Quindi, se l'offerta è largamente superiore alla domanda, ci insegnano gli economisti, non si delinea un grande affare. Dice: male, stolto: dovresti scriverlo solo per il piacere di farlo. Ma anche no, dico io. Perché buttare via carta ed energie? Solo per l'ego? Solo per poter aggiungere la parolina «scrittore» al mio curriculum? «Ma mi faccia il piacere...», diceva Totò. Al limite per saziare quegli appetiti da piccola pasticceria imbratto Facebook, Twitter o il mio blog.
In Italia vendono libri (non troppi, sia chiaro, pochini) solo le firme consolidate, quelli cioè che li piazzano a scatola chiusa solo in virtù della loro estrema notorietà, che a volte prescinde persino dalla scrittura. E nel 70% dei casi dalla qualità del prodotto. Oppure i bestselleristi internazionali ultra-pompati dalla promozione. Il resto sono briciole. Sabbia vulcanica nelle mutande. Ogni giorno transito davanti alla scrivania di una collega che al giornale si occupa della rubrica delle recensioni librarie, e mi viene un groppo in gola per gli autori. Soffro per loro. Le arrivano quintali - quintali - di robaccia che nessuno mai leggerà. Se non parenti seviziati e lobotomizzati e qualche editor di buona volontà che lo fa per lavoro. Forse li stampano facendo affidamento sulle copie omaggio per gli amici, come gli editori che ti pubblicano (a pagamento) se ne compri anticipatamente almeno 500-1000 copie da regalare. Una tristezza rara, che nella vita secondo me è bellissimo risparmiarsi.
Quindi, carissimi/e: accontentatevi di uno «scrittore» in meno, e di un cazzaro in più.
Non è escluso che prima o poi (siamo onesti, facciamo poi) raccolga qualche scemata o riflessione in un volumetto, ma la mia idea di libro, di vero libro, è un'altra. Per scriverne uno come Cristo comanda ci vogliono una bella idea, e un grande lavoro. Tempo e fatica. Tanto, dell'uno e dell'altra. Il primo, mi manca ma volendo si potrebbe anche trovare. La seconda, essendo pigrissimo, non ho granché voglia di sobbarcarmela. Soprattutto a fronte di un'incerta vendita. Perché non dimentichiamo che in questo Paese gli scrittori (vedi il bestiario di «Masterpiece») li trovi in offerta 3x2 anche nei cestoni degli Autogrill. I lettori invece sono specie prossima all'estinzione. Senza scomodare la crisi. Quindi, se l'offerta è largamente superiore alla domanda, ci insegnano gli economisti, non si delinea un grande affare. Dice: male, stolto: dovresti scriverlo solo per il piacere di farlo. Ma anche no, dico io. Perché buttare via carta ed energie? Solo per l'ego? Solo per poter aggiungere la parolina «scrittore» al mio curriculum? «Ma mi faccia il piacere...», diceva Totò. Al limite per saziare quegli appetiti da piccola pasticceria imbratto Facebook, Twitter o il mio blog.
In Italia vendono libri (non troppi, sia chiaro, pochini) solo le firme consolidate, quelli cioè che li piazzano a scatola chiusa solo in virtù della loro estrema notorietà, che a volte prescinde persino dalla scrittura. E nel 70% dei casi dalla qualità del prodotto. Oppure i bestselleristi internazionali ultra-pompati dalla promozione. Il resto sono briciole. Sabbia vulcanica nelle mutande. Ogni giorno transito davanti alla scrivania di una collega che al giornale si occupa della rubrica delle recensioni librarie, e mi viene un groppo in gola per gli autori. Soffro per loro. Le arrivano quintali - quintali - di robaccia che nessuno mai leggerà. Se non parenti seviziati e lobotomizzati e qualche editor di buona volontà che lo fa per lavoro. Forse li stampano facendo affidamento sulle copie omaggio per gli amici, come gli editori che ti pubblicano (a pagamento) se ne compri anticipatamente almeno 500-1000 copie da regalare. Una tristezza rara, che nella vita secondo me è bellissimo risparmiarsi.
Quindi, carissimi/e: accontentatevi di uno «scrittore» in meno, e di un cazzaro in più.
Con il consueto affetto.
Franco