Sanremo, prima serata. Qualche buona canzone
(su tutte, Daniele Silvestri e Simona Molinari-Peter Cincotti, menzione per Marco Mengoni, mentre Chiara Galiazzo, voce splendida, poteva essere servita meglio come pezzi), un'impagabile pagina
alto-kistch di Toto Cutugno con l'Armata rossa, Crozza troppo lungo, con
molte battute già sentite a Ballarò e su La7, e con un monologo in parte
improprio per Sanremo (ma riprendersi dopo la contestazione dei due
della clacque era una tra le cose più difficili che possano capitare a
chi fa spettacolo, su quel palco in
particolare). Fabio Fazio ha fatto il compitino con dignità, e Luciana Littizzetto,
come al solito ormai, ha abusato della sua volgarità gratuita che è sì
un marchio di fabbrica, ma che oggi suona più che altro come una
sottomarca. Proprio perché rappresenta un modello femminile differente
dai soliti chiché sanremesi, avrebbe dovuto fare lo sforzo - in quel
contesto - di staccarsi dai luoghi comuni scatologici che le
appartengono. E volare un po' più alto, come testi, classe, repertorio.
Altrimenti, ridateci le gnocche di Baudo.
Altrimenti, ridateci le gnocche di Baudo.