La sua filosofia, la sintetizzò in una frase: «Ho sempre trattato tutti allo stesso modo: dalla Regina d’Inghilterra, al lavoratore di fatica di un giacimento petrolifero a Dallas». Morto a 81 anni, il 23 novembre scorso, per le complicazioni di un cancro alla gola, Larry Hagman, per tutti solo «J.R.», di pozzi di petrolio texani se ne intendeva davvero, essendo nato a Fort Worth un lunedì di settembre del 1931, figlio di una cantante di Broadway. Il successo lo acchiappò nel 1965, grazie al ruolo del Maggiore Nelson nella sit-com «Strega per amore», con Barbara Eden. Il botto, però, fu alla fine del decennio successivo, quando dal 1978 al 1991 vestì i panni del cattivo dei cattivi: lo spregevole J.R. di «Dallas». Nel 1980, l’episodio in cui una misteriosa mano attentò alla sua vita, fu seguito da 83 milioni di spettatori in America e da 350 milioni in tutto il mondo. Negli anni d’oro, Mr. Hagman, oltre a bere cinque bottiglie di champagne al giorno, provando «Ogni tipo di droga, tranne l’eroina», guadagnava 100.000 dollari a episodio, e ne girò in totale 353. Il che gli consentì di accumulare una fortuna; tanto da comprarsi una villa a Malibù (Los Angeles) e un sontuoso appartamento proprio a Dallas, che aveva ovviamente ribattezzato «La mia città». La battaglia più grossa la dovette combattere nell’agosto del 1995, quando, dopo aver scoperto un tumore al fegato, subì un trapianto. 13 ore d’intervento. Il donatore era un 28enne che poi campeggiò per tutta la vita in una foto in bianco e nero su una mensola del soggiorno di casa Hagman, e che J.R. ogni giorno salutava e guardava negli occhi; piccola cerimonia di ringraziamento per la «seconda possibilità» che gli fu concessa. Spiritoso, eccentrico e nemico della finzione (una volta si presentò in un negozio di alimentari con un costume giallo da gallina, e un’altra fu sorpreso a giocare a freesbee in spiaggia vestito da karateka), Hagman a casa custodiva strani cimeli. Come un pezzo di carbone della sala macchine del Titanic, regalo di un fan, e una fialetta di sangue infetto da Hiv, che considerava «un’opera d’arte». Così come alcuni quadri dipinti da un amico. Tale Anthony Hopkins. Del suo cancro in gola parlava invece a lungo con un altro malato illustre: Michael Douglas. La domenica invece la consacrava al silenzio assoluto e alla meditazione, spostandosi con un micro-ventilatore a mano per respingere il fumo delle sigarette altrui. Pare sia stato pagato un milione di dollari per tornare a interpretare J.R. nel recente seguito della serie cult, che in Italia non ha avuto grande riscontro. Nell’ultimo anno era diventato totalmente vegano, tanto da trasformare le famose cinque bottiglie di champagne al giorno in cinque frullati di cavolo, cetriolo, fagiolini e avocado. Appassionato di energie alternative e materiali eco-compatibili (spesso girava l’America su una casa viaggiante a energia solare targata «Be Happy», ovvero sii felice, e aveva un caddy per giocare a golf alimentato con olio da cucina riciclato), quando si presentò in Italia l’ultima volta, esattamente due anni fa, a «Sorrisi», ebbi la fortuna di conoscerlo. Era testimonial di un’azienda di pannelli solari, e mi chiese il numero di cellulare di Zucchero, l’artista italiano che amava di più, deciso a complimentarsi per una sua canzone: «È un peccato morir». Sì Larry, è un vero peccato.
(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)
(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)