Nicola, torni in sé per un attimo e mi dica come mai l’hanno richiamata in video: non si poteva tenere in panchina un vincente?
«Sono orgoglioso che la Rai l’abbia fatto, intanto: a me questi giochi piacciono, e mi piace parlare con la gente. Come molti sanno, avrei dovuto occuparmi della nuova edizione dell’“Isola dei famosi», invece...».
Invece è dispiaciuto che l’abbiano cassata.
«Se le dicessi di no, mentirei. Con Vladimir Luxuria ci siamo divertiti molto a farla, e sarebbe stata un’edizione ancora più cucita sulla nostra pelle. Ma l’azienda, rispondendo a una domanda di sobrietà che viene dal Paese in un momento difficile, ha deciso di toglierla dal palinsesto, anche per abbattere alcuni costi, e io rispetto questa scelta».
C’è forse anche il problema del cast. Il parterre dei soggetti interessanti da reclutare sembrava ormai oggettivamente sguarnito...
«Mi creda, non è così. E non è neppure la formuletta: è finito il tempo dei reality, ora tocca ai talent. Avevamo già studiato alcune soluzioni che giocando su ripescaggi e altre malizie, ci avrebbero consentito di portare a casa una buona edizione. Pazienza».
Che cosa facciamo? La archiviamo nel limbo dei programmi non morti, allora?
«Mi piace pensare che sia così».
Sta provando a cambiare faccia alla Tv italiana?
«Temo sia un’ambizione troppo grande. Cerco di essere informale, amichevole. Mi rifaccio a Insinna, Bonolis, Scotti, Conti. Vorrei poter dire che sono il 2.0, ma ho ancora molta strada da fare. Forse sono lo 0.1».
Le pesa ereditare questo show, che è un format non suo, già testato da Max Giusti lo scorso anno su Raiuno?
«Mannò, anche l’Isola era un format non mio, partito con qualche aggiustamento da fare e recuperato - mi sembra onestamente - in corsa. Non ho più certe insicurezze».
È rimasto lontano dalla tv per un po’, ma in fondo la fa tutti i giorni, con Linus, su Deejay...
«Beh, quella telecamera è solo un buco della serratura sul programma».
Quest’anno la vostra squadra in radio ha subito alcuni rimaneggiamenti...
«Allude all’uscita di scena di Platinette e Fabio Volo?».
Alludo.
«Credo che Fabio volesse dedicarsi in modo più serio alla tv, e per Plati non conosco i motivi. Certo, mi spiace che se ne siano andati, da sempre amo fare squadra. Ma sa come si dice, no? Tutti siamo utili, nessuno è insostituibile. Me compreso. E lo dice uno che è stato più a Radio Deejay che con i suoi genitori».
Come, scusi?
«Certo, sono lì da 23 anni, e me ne andai da casa quando ne avevo 22. Quindi è ufficiale: ho passato più tempo a Deejay che con mamma e papà».
Un piccolo record.
«Il vero genio fu Cecchetto, che nell’82 - credo faccia fede l’opportuna copertina di “Sorrisi” - creò un’idea blindata che resiste al passaggio di chiunque. È un flusso continuo di musica, c’è e ci sarà sempre».
(TV SORRISI E CANZONI - NOVEMBRE 2012)