«Il meglio deve ancora venire», ha detto pochi giorni fa Mr. President, il 44° nella storia degli Stati Uniti d'America, salutando la propria riconferma sulla poltrona politicamente più calda del pianeta. Altri quattro anni - gli ultimi - alla guida degli States.
Da allora si sprecano le analisi giornalistiche sulla frase con cui Barack Obama ha voluto non più ingraziarsi, ma ringraziare il proprio elettorato. Molti pensano si tratti di un banale messaggio di speranza in un momento difficile per gli Usa e il mondo intero, fra buchi (neri) di bilancio e altalene dei mercati; altri credono abbia voluto in qualche modo promettere meraviglie ai delusi dopo un inizio di percorso amministrativo difficile, complicato e contestato. Il tutto mentre il rivale, Mitt Romney, sul suo profilo Facebook, perde seguaci al ritmo di 800 al minuto. A dimostrazione del fatto che non soltanto gli italiani hanno il vezzo di correre in soccorso del vincitore.
In realtà quella frase, «Il meglio deve ancora venire», è frutto di un equivoco familiare mai chiarito e di una lieve forma di sordità del Presidente, che è ignota ai più. Grazie ad alcune amicizie influenti in quel di Washington e nel suo staff ristretto, sono in grado oggi di fare piena luce sulla verità.
Obama e Michelle, alla Casa Bianca, hanno una coppia di vicini molto politicamente scorretti. Si tratta dei bianchi caucasici John e Ramona Coltrane. John e Ramona, 43 e 30 anni, lui operatore ecologico («Chiamatemi spazzino, grandi teste di cazzo!» ribatte sempre ingrugnato a chi lo definisce con la formula più ipocrita del mondo), lei parrucchiera, abitano una vecchia casa diroccata contigua alla sfarzosa dimora presidenziale. Il pasticciaccio lo combinò nel 1807 quel giargianella di Thomas Jefferson, che una notte - in mutande, dopo aver perso una partita a poker e decisamente sconsigliato dagli altri collaboratori - concesse a un suo assistente tuttofare gran maneggione antenato di Coltrane, tale Jason, di costruire sul retro della White House una piccola depandance letteramente incollata all'edificio principale. «Che vi importa? Tanto nelle foto ufficiali il palazzo si vede sempre solo di fronte, non state a menarla troppo», disse il presidente concedendo l'autorizzazione. Non sapeva di firmare una condanna anche per tutti i suoi successori. I Coltrane, che con gli anni avevano sviluppato una robusta fede per il partito repubblicano, avevano sempre avuto fama di attaccabrighe, e amavano parlare chiaro. Non conoscevano la diplomazia. In questo, anche John e Ramona si erano trovati. E se lui mal sopportava l'ipocrisia buonista, lei confezionava permanenti e meches concedendosi il lusso di parlare chiaro alle clienti. Se in negozio si presentava una signora che richiedeva espressamente una particolare, strana acconciatura, lei - anziché abbozzare ed eseguire col tono mieloso di molte colleghe - la guardava negli occhi e le diceva: «Oh vecchia, io te la faccio, ma sappi che ti sta da schifo! Poi non ti lamentare». Molte di loro, chiaramente, non si ripresentavano più. E questo, alla lunga, aveva influito anche sul tenore di vita dei Coltrane, i quali avevano due entrate mensili che sommate non ne facevano una piena. Con due figli da mantenere e frequenti litigate che li facevano sembrare un po' il negativo della coppia patinata presidenziale, sempre tutta coccole e sorrisi.
Come se non bastasse, se loro a letto si erano un po' raffreddati, gli Obama avevano una vita sessuale che faceva ancora scintille, vuoi perché a Barack le cose continuavano ad andare bene, vuoi perché - si sa - la gente di colore, oltre ad avere la musica nel sangue, è nota anche per altri, scarsamente visibili ma percepibili attributi. Quasi ogni notte tra Barack e Michelle era una festa, che non lasciava spazio al sonno dei poveri Coltrane. Spesso i feroci amplessi si consumavano ululando anche sul tavolo della Stanza Ovale. Lo stesso sotto il quale anni prima, ai tempi di Bill Clinton, aveva trovato posto la maliziosa sfrontatezza di Monica Levinsky.
La notte, quasi ogni notte, la copula frenetica degli Obama gettava scompiglio nella stanza da letto attigua dei vicini. Ore di sfiancanti gemiti ai quali Ramona non sapeva rispondere in altro modo che con un: «Ma devo farvi arrestare dai Federali? Allora, porca eva, avete finito?», accompagnato da qualche colpo secco dato alla parete e sferrato con il bastone del mocio lavapavimenti. «Sì, ti piacerebbe» ribatteva John urlando con tutta la forza dei suoi polmoni, perché i vicini lo sentissero «Il negro deve ancora venire!». Quella frase beffarda, che conteneva non solo tutto il suo odio per i democratici, ma anche per "quel" democratico in particolare, la ripeteva ogni volta come uno slogan politico. Dall'altra parte, Michelle riusciva a coglierla in modo abbastanza distinto (ma non ne faceva mai parola al marito, per non ferirlo), mentre Obama, vuoi per la furia dell'incontro carnale, vuoi per un vecchio problema di sordità moderata non progressiva del quale pochissimi erano a conoscenza, non sentiva o capiva solo parzialmente.
Quel che successe la notte della vittoria alle elezioni, ha del miracoloso: visti i risultati, Obama si era rintanato con Michelle nella Stanza Ovale con sei chili di caviale del Volga, e il migior champagne, che faceva scorrere a fiumi. Quasi giunto all'acme del piacere, dopo le regolamentari tre botte sulla parete da parte di Ramona («Avete finito?») il livorosissimo Coltrane, incazzato come una bestia anche per l'umiliazione subita in troppi collegi, lanciò il rituale: «Sì, ti piacerebbe... Il negro deve ancora venire!». La frase arrivò incredibilmente un secondo dopo l'orgasmo presidenziale, e Barack credette finalmente di sentire: «Il meglio deve ancora venire!».
Per tutta la notte, e sino al mattino dopo, quelle cinque parole gli ronzarono in testa. Da un lato, le condivideva con orgoglio. Dall'altro, non riusciva a capacitarsi della genialità di quel suo brusco, forzato vicino di casa, sempre un po' ostile e che non aveva mai considerato troppo intelligente. Doveva ricredersi. «È vero, ripeteva fra sé e sé Mr. President: il meglio deve ancora venire!». Chiamò Michelle e le comunicò la sua intenzione di giocare su quella precisa frase, rubacchiata al buon Coltrane, per il discorso di re-insediamento. Michelle, prima donna afroamericana a ricoprire il ruolo di First Lady, abbassò gli occhi, e ancora una volta non ebbe il coraggio di fiatare. In fondo era un momento di festa che la verità non poteva sporcare. E poi, che cos'è una piccola bugia a fronte della pace familiare e di quella di un'intera Nazione? «Sì, ciccino» gli rispose col sorriso un po' tirato. «Mi sembra proprio una bella idea». Lui se ne andò soddisfatto a ripassare lo speech.
In quello stesso istante entrò Malia, la prima delle due figlie della coppia presidenziale, che non conosceva l'antefatto ma aveva ascoltato tutto da dietro la porta. «Mamy, ma papy lo sa che quella frase, “Il meglio deve ancora venire”, l'ha già detta Ligabue?». «Ligabue chi, il pittore?», rispose Michelle, che aveva buoni studi alle spalle. «Mannò, Ligabue il cantante italiano! Ce l'ho sempre sull'iPod» s'impuntò la piccina. «Aaaaahhh, il capellone...». «Mannò, mamma, adesso se li è tagliati...».
«No tesoro, non lo sapevo. Grazie». E intanto le accarezzò i capelli teneramente, pensando felice fra sé e sé: «Certo, è un omaggio a Ligabue. Un omaggio a Ligabue...».
Da allora si sprecano le analisi giornalistiche sulla frase con cui Barack Obama ha voluto non più ingraziarsi, ma ringraziare il proprio elettorato. Molti pensano si tratti di un banale messaggio di speranza in un momento difficile per gli Usa e il mondo intero, fra buchi (neri) di bilancio e altalene dei mercati; altri credono abbia voluto in qualche modo promettere meraviglie ai delusi dopo un inizio di percorso amministrativo difficile, complicato e contestato. Il tutto mentre il rivale, Mitt Romney, sul suo profilo Facebook, perde seguaci al ritmo di 800 al minuto. A dimostrazione del fatto che non soltanto gli italiani hanno il vezzo di correre in soccorso del vincitore.
In realtà quella frase, «Il meglio deve ancora venire», è frutto di un equivoco familiare mai chiarito e di una lieve forma di sordità del Presidente, che è ignota ai più. Grazie ad alcune amicizie influenti in quel di Washington e nel suo staff ristretto, sono in grado oggi di fare piena luce sulla verità.
Obama e Michelle, alla Casa Bianca, hanno una coppia di vicini molto politicamente scorretti. Si tratta dei bianchi caucasici John e Ramona Coltrane. John e Ramona, 43 e 30 anni, lui operatore ecologico («Chiamatemi spazzino, grandi teste di cazzo!» ribatte sempre ingrugnato a chi lo definisce con la formula più ipocrita del mondo), lei parrucchiera, abitano una vecchia casa diroccata contigua alla sfarzosa dimora presidenziale. Il pasticciaccio lo combinò nel 1807 quel giargianella di Thomas Jefferson, che una notte - in mutande, dopo aver perso una partita a poker e decisamente sconsigliato dagli altri collaboratori - concesse a un suo assistente tuttofare gran maneggione antenato di Coltrane, tale Jason, di costruire sul retro della White House una piccola depandance letteramente incollata all'edificio principale. «Che vi importa? Tanto nelle foto ufficiali il palazzo si vede sempre solo di fronte, non state a menarla troppo», disse il presidente concedendo l'autorizzazione. Non sapeva di firmare una condanna anche per tutti i suoi successori. I Coltrane, che con gli anni avevano sviluppato una robusta fede per il partito repubblicano, avevano sempre avuto fama di attaccabrighe, e amavano parlare chiaro. Non conoscevano la diplomazia. In questo, anche John e Ramona si erano trovati. E se lui mal sopportava l'ipocrisia buonista, lei confezionava permanenti e meches concedendosi il lusso di parlare chiaro alle clienti. Se in negozio si presentava una signora che richiedeva espressamente una particolare, strana acconciatura, lei - anziché abbozzare ed eseguire col tono mieloso di molte colleghe - la guardava negli occhi e le diceva: «Oh vecchia, io te la faccio, ma sappi che ti sta da schifo! Poi non ti lamentare». Molte di loro, chiaramente, non si ripresentavano più. E questo, alla lunga, aveva influito anche sul tenore di vita dei Coltrane, i quali avevano due entrate mensili che sommate non ne facevano una piena. Con due figli da mantenere e frequenti litigate che li facevano sembrare un po' il negativo della coppia patinata presidenziale, sempre tutta coccole e sorrisi.
Come se non bastasse, se loro a letto si erano un po' raffreddati, gli Obama avevano una vita sessuale che faceva ancora scintille, vuoi perché a Barack le cose continuavano ad andare bene, vuoi perché - si sa - la gente di colore, oltre ad avere la musica nel sangue, è nota anche per altri, scarsamente visibili ma percepibili attributi. Quasi ogni notte tra Barack e Michelle era una festa, che non lasciava spazio al sonno dei poveri Coltrane. Spesso i feroci amplessi si consumavano ululando anche sul tavolo della Stanza Ovale. Lo stesso sotto il quale anni prima, ai tempi di Bill Clinton, aveva trovato posto la maliziosa sfrontatezza di Monica Levinsky.
La notte, quasi ogni notte, la copula frenetica degli Obama gettava scompiglio nella stanza da letto attigua dei vicini. Ore di sfiancanti gemiti ai quali Ramona non sapeva rispondere in altro modo che con un: «Ma devo farvi arrestare dai Federali? Allora, porca eva, avete finito?», accompagnato da qualche colpo secco dato alla parete e sferrato con il bastone del mocio lavapavimenti. «Sì, ti piacerebbe» ribatteva John urlando con tutta la forza dei suoi polmoni, perché i vicini lo sentissero «Il negro deve ancora venire!». Quella frase beffarda, che conteneva non solo tutto il suo odio per i democratici, ma anche per "quel" democratico in particolare, la ripeteva ogni volta come uno slogan politico. Dall'altra parte, Michelle riusciva a coglierla in modo abbastanza distinto (ma non ne faceva mai parola al marito, per non ferirlo), mentre Obama, vuoi per la furia dell'incontro carnale, vuoi per un vecchio problema di sordità moderata non progressiva del quale pochissimi erano a conoscenza, non sentiva o capiva solo parzialmente.
Quel che successe la notte della vittoria alle elezioni, ha del miracoloso: visti i risultati, Obama si era rintanato con Michelle nella Stanza Ovale con sei chili di caviale del Volga, e il migior champagne, che faceva scorrere a fiumi. Quasi giunto all'acme del piacere, dopo le regolamentari tre botte sulla parete da parte di Ramona («Avete finito?») il livorosissimo Coltrane, incazzato come una bestia anche per l'umiliazione subita in troppi collegi, lanciò il rituale: «Sì, ti piacerebbe... Il negro deve ancora venire!». La frase arrivò incredibilmente un secondo dopo l'orgasmo presidenziale, e Barack credette finalmente di sentire: «Il meglio deve ancora venire!».
Per tutta la notte, e sino al mattino dopo, quelle cinque parole gli ronzarono in testa. Da un lato, le condivideva con orgoglio. Dall'altro, non riusciva a capacitarsi della genialità di quel suo brusco, forzato vicino di casa, sempre un po' ostile e che non aveva mai considerato troppo intelligente. Doveva ricredersi. «È vero, ripeteva fra sé e sé Mr. President: il meglio deve ancora venire!». Chiamò Michelle e le comunicò la sua intenzione di giocare su quella precisa frase, rubacchiata al buon Coltrane, per il discorso di re-insediamento. Michelle, prima donna afroamericana a ricoprire il ruolo di First Lady, abbassò gli occhi, e ancora una volta non ebbe il coraggio di fiatare. In fondo era un momento di festa che la verità non poteva sporcare. E poi, che cos'è una piccola bugia a fronte della pace familiare e di quella di un'intera Nazione? «Sì, ciccino» gli rispose col sorriso un po' tirato. «Mi sembra proprio una bella idea». Lui se ne andò soddisfatto a ripassare lo speech.
In quello stesso istante entrò Malia, la prima delle due figlie della coppia presidenziale, che non conosceva l'antefatto ma aveva ascoltato tutto da dietro la porta. «Mamy, ma papy lo sa che quella frase, “Il meglio deve ancora venire”, l'ha già detta Ligabue?». «Ligabue chi, il pittore?», rispose Michelle, che aveva buoni studi alle spalle. «Mannò, Ligabue il cantante italiano! Ce l'ho sempre sull'iPod» s'impuntò la piccina. «Aaaaahhh, il capellone...». «Mannò, mamma, adesso se li è tagliati...».
«No tesoro, non lo sapevo. Grazie». E intanto le accarezzò i capelli teneramente, pensando felice fra sé e sé: «Certo, è un omaggio a Ligabue. Un omaggio a Ligabue...».