«Anche perché io sono un po’
il quinto Beatles, no?».
Che lo pensi davvero o meno,
mentre un sorrisetto malizioso gli percorre il viso, Umberto Tozzi – nel dubbio
– la butta lì. Sornione.
E a pensarci bene, un debito
di riconoscenza verso questo signore che ha consegnato alla storia della musica
italiana capolavori come «Ti amo» e «Gloria», firmati in coppia col compianto
Giancarlo Bigazzi, bisogna averlo. Volenti o nolenti.
Da oggi, Tozzi è nei negozi e
su iTunes (già al terzo posto) con «Yesterday, Today», doppio album che esce a
sette anni da «Le parole», ultimo lavoro per Cgd. Stavolta sul piatto ci sono
11 inediti e 18 successi riarrangiati, nel rispetto del Tozzi style. Il posto
di Bigazzi (al quale è dedicato l’album, con citazione nel booklet: «A Giancarlo,
per aver condiviso con me un lungo cammino di… Gloria») è stato preso
idealmente dal figlio del cantautore: «Gianluca, 26 anni, che non mi somiglia
pegnènte ma cucca un casino lo stesso».
Tozzi, com’è cambiato nel
tempo il suo modo di lavorare?
«Il modo di pensare e fare
musica non è cambiato. Ci sono stati anni in cui non sentivo di avere cose
forti da dire, e sono stato zitto. Nella mia carriera si sono alternati grandi
successi, e anche vistosi insuccessi. Qui ho sentito per la prima volta dopo
tanto tempo una forte ispirazione. Ho preso Greg Mathieson, che già collaborava
con me ai tempi di “Gloria”, e l’ho fatto impazzire per cercare di amalgamare
il più possibile le sonorità dei due cd. Gli arrangiamenti sono volutamenti
asciutti, e il più possibile vicini a quelli di quegli anni. Soprattutto per i
tre pezzi classici: “Ti amo”, “Tu” e “Gloria”».
Un nuovo best era nell’aria
da tempo…
«Sì, anche perché mi ero
stancato di sentire la mia vocina da ragazzino nei dischi, e qualcuno ha avuto
la bontà di dirmi che canto meglio oggi».
Il nuovo tour parte il 22
maggio da Lille, in Francia, e c’è una sola data italiana, il 7 settembre a
Bari. Come mai?
«In realtà vorrei riuscire a
fare almeno 3-4 date fra Milano e Torino, la mia città, nei teatri. Quel calendario
è stato fatto sei mesi fa. All’estero lavorano diversamente da noi, con grande
anticipo. In Italia le date si fissano anche all’ultimo momento. Farò anche la
Spagna, e sto programmando anche un tour francese, fra gennaio e marzo del
2013».
Come vede i nuovi fermenti
politici (o antipolitici) che stanno scuotendo l’Italia?
«Confesso di non aver mai
seguito molto né la politica, né i partiti. Non è qualunquismo. È che in tanti
anni, con tutti i Governi che si sono succeduti, non ho mai visto qualcuno che
secondo me fosse in grado di risollevare questo Paese. Tanta gente, e soltanto
casini mai risolti».
Vive a Montecarlo da anni. È
sereno?
«Ho la fortuna di abitare in
un posto meraviglioso. E sì, ho raggiunto una considerevole serenità, che mi
consente di lavorare in pace. Sino a qualche tempo fa ero più arrabbiato, sia
verso la mia professione, sia verso chi la gestiva. Da quando sono nonno, mi
sono tranquillizzato».
È vero che Pino Daniele
doveva produrla, ma poi non se n’è più fatto niente?
«Non mi risulta. Abitavamo
vicini, a Roma, ma con lui non si è mai parlato di questo. Ho collaborato con
Raf ed ero felicissimo, perché veniva dal vivaio di Bigazzi. E negli anni
scorsi anche con Masini. Sono aperto alle collaborazioni, che credo facciano bene
alla musica. Mai come Dalla, però, che aveva la mentalità della condivisione».
È aperto ma a quanto pare non
accetta la proposta di Al Bano, che la vuole coinvolgere con Toto Cutugno in un
mega tour a tre voci in Germania. Snobismo?
«Non è detto che prima o poi
non si faccia, sa? Non c’è nessuna preclusione, sono due grandi artisti. Il
problema era la mia richiesta di avere sul palco un’orchestra sinfonica. Se
troveremo un accordo, perché no?».
Qual è l’inedito che ama di
più, di quest’album?
«“Come stai?”, una ballad che
non mi stanco di riascoltare. È quello che mi dà più emozione».
Qual è l’eredità che le ha
lasciato Bigazzi?
«Mi piace scrivere canzoni
semplici. E Bigazzi è stato il mio grande maestro, in questo. Anzitutto mi ha
insegnato a mettere le note insieme, cosa che ignoravo. Mi ha insegnato a
semplificare le melodie, senza mettere diminuite e cose strane che amavo molto,
e con più la maggiori, per intendersi. È stata una collaborazione felice, al di
là di tutto, e la sua scuola mi è servita. E poi mi pungolava e stimolava: sono
notoriamente pigro e orso. Giancarlo ogni tanto mi chiamava e diceva: “Forza,
dai, troviamoci e facciamo qualcosa”. Queste canzoni guardano al passato anche
come lunghezza: non più di 3 minuti e mezzo, come una volta. Come la vecchia
scuola di Giancarlo, ma con mio figlio che in qualche modo cerca di rinverdirne
i fasti».
Il suo disco meno fortunato?
«“Il grido”, del ‘96. Non a
caso parlavo di “Facce di angeli lividi”. Uno tra i cd più invenduti della mia
carriera».
Crede sia davvero possibile
rifare qualcosa che rinverdisca i fasti delle sue pietre miliari?
«No, penso di no. Quei pezzi erano troppo forti, e ancora
oggi amatissimi dalle nuove generazioni, che li conoscono a memoria. Li
considero irripetibili. Del resto, se Paul McCartney fosse stato in grado di
rifare “Yesterday”, l’avrebbe fatto. Io ho avuto alti e bassi. Poi c’è una
quota di pubblico di affezionati alla tua musica che ti segue anche nel
disastro, ma è un’altra cosa».
Come giudica i talent show?
«I ragazzi purtroppo oggi
sono sfortunati, perché hanno solo quelli come momento di aggregazione e di
visibilità. Noi facevamo musica nei club e nelle cantine. Oggi, un giovane che
esce e non imbrocca il primo singolo, rischia seriamente di non arrivare al
secondo».
Meglio i talent del nulla,
no?
«La cosa veramente negativa è
che in quei contesti sono solo interpreti, di fatto. È una triste verità. Prima
o poi se vuoi emergere o restare, dovrai scriverla, una canzone. Prendiamo
Noemi, la rossa: è forte, ha un bel timbro. Ma noi abbiamo bisogno di autori.
Gli autori sono stati la fonte delle più grandi libidini emozionali della
nostra vita».
Farebbe bene anche al
Festival di Sanremo…
«L’unico modo per ricreare
quelle belle atmosfere, sarebbe prendere bravi autori, chessò, come Maurizio
Fabrizio, e chiuderli in casa finché non hanno cacciato la canzone giusta».
Guarda qualcosa, in tv?
«Ho visto tutte le puntate di
“Una grande famiglia”, tranne l’ultima, ieri, causa lavoro. Ma me la sono fatta
raccontare. Ogni tanto seguo anche “Matrix” o “Porta a porta”. Altrimenti
fiction, o documentari del National Geographic».
L’Italia è stata abbastanza generosa con
lei?
«Non mi lamento, anche se
forse un po’ più di attenzione l’avrei meritata. Però mi sono consolato con un
successo e brani così forti, all’estero, che hanno compensato tutto il resto».
E le case discografiche?
«Da quelle non ti devi aspettare niente: quando
lasci una major, se hanno il tuo catalogo, fanno di tutto, senza rispetto
alcuno: compilation, raccolte… Ma non è un problema solo mio, intendiamoci».(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)