Il giornalismo di spettacolo, in Italia, soffre di Parkinson in fase acuta e sta andando a farsi benedire, ma - poveretto - non attribuiamogli tutte le colpe.
L'ultima moda - quella più cool - tra i personaggini che popolano il nostro star-system è la smentita a stretto giro di posta. Prima rilasciano un'intervista, e poi utilizzano le agenzie di stampa o un'altra testata per dire simpaticamente il contrario della notizia che in prima battuta aveva avuto risonanza grazie alla loro confessione.
Perché? Rispondere è difficile: bisogna entrare nella contorta psicologia del vip (ma non sarebbe ora di smetterla di chiamarli così?) di turno e del suo management. O di uffici stampa che lavorano per mettere la classica pezza una volta fatto il danno.
Se il personaggio cambia opinione nel giro di poche ore, è un suo diritto, purché lo chiarisca esponendosi al relativo giudizio. Perché invece screditare il lavoro di altri negando affermazioni fatte? Magari - cosa particolarmente sciocca - in presenza di un'intervista perfettamente registrata.
A me è capitato, di recente, in un paio di occasioni, e l'ultimo inciampo è quello nel quale è caduta la collega Maria Volpe, del Corriere della sera. Intervistata la bella valletta del prossimo Sanremo, Ivana Mrazova (nella foto), si è sentita dire dalla fanciulla: «Non amo molto la musica italiana: conosco soltanto Celentano e Bocelli». La cosa ha fatto parlare, visto che la nostra non si appresta a salire sul palco dell'Uganda giro ma del Festival della canzone italiana. Parte la smentita, e la contro-replica della collega (della quale non ho motivo di dubitare), che conferma «parola per parola» l'intervista fatta a Mrazova.
Sarebbe ora che chi rilascia interviste pensasse prima a quel che dice, invece di lanciarsi in assurde gare all'ultima smentita dopo averle fatte. Soprattutto quando non si ha a che fare con conclamati cialtroni (ai quali le interviste non andrebbero rilasciate), ma a persone rispettabili.
Invelenire il clima non è di particolare aiuto, e gettare fango sui giornali e sul lavoro di altri lo è ancora meno. La smentita dovrebbe essere una clamorosa eccezione. Non il comodo pronto intervento di furbi e distratti.
L'ultima moda - quella più cool - tra i personaggini che popolano il nostro star-system è la smentita a stretto giro di posta. Prima rilasciano un'intervista, e poi utilizzano le agenzie di stampa o un'altra testata per dire simpaticamente il contrario della notizia che in prima battuta aveva avuto risonanza grazie alla loro confessione.
Perché? Rispondere è difficile: bisogna entrare nella contorta psicologia del vip (ma non sarebbe ora di smetterla di chiamarli così?) di turno e del suo management. O di uffici stampa che lavorano per mettere la classica pezza una volta fatto il danno.
Se il personaggio cambia opinione nel giro di poche ore, è un suo diritto, purché lo chiarisca esponendosi al relativo giudizio. Perché invece screditare il lavoro di altri negando affermazioni fatte? Magari - cosa particolarmente sciocca - in presenza di un'intervista perfettamente registrata.
A me è capitato, di recente, in un paio di occasioni, e l'ultimo inciampo è quello nel quale è caduta la collega Maria Volpe, del Corriere della sera. Intervistata la bella valletta del prossimo Sanremo, Ivana Mrazova (nella foto), si è sentita dire dalla fanciulla: «Non amo molto la musica italiana: conosco soltanto Celentano e Bocelli». La cosa ha fatto parlare, visto che la nostra non si appresta a salire sul palco dell'Uganda giro ma del Festival della canzone italiana. Parte la smentita, e la contro-replica della collega (della quale non ho motivo di dubitare), che conferma «parola per parola» l'intervista fatta a Mrazova.
Sarebbe ora che chi rilascia interviste pensasse prima a quel che dice, invece di lanciarsi in assurde gare all'ultima smentita dopo averle fatte. Soprattutto quando non si ha a che fare con conclamati cialtroni (ai quali le interviste non andrebbero rilasciate), ma a persone rispettabili.
Invelenire il clima non è di particolare aiuto, e gettare fango sui giornali e sul lavoro di altri lo è ancora meno. La smentita dovrebbe essere una clamorosa eccezione. Non il comodo pronto intervento di furbi e distratti.