Ricordare l’11 settembre 2001, il crollo delle Torri gemelle di New York, la peggior pugnalata inferta al mondo occidentale, è un bene o procura solo altro dolore? «Non le so rispondere» dice Gina Lippis, 64 anni, di origine abruzzese, broker italiana scampata dieci anni fa alla tragedia. «Quando mi cerca qualcuno, come lei ora, soffro e penso: mioddìo, basta. Quel che è stato è stato, ora caliamo un velo di pietà e silenzio. D’altra parte un’amica psicologa dice che parlarne mi fa bene, e non farlo mi sembrerebbe irrispettoso nei confronti dei tanti innocenti morti. Hanno sempre detto 3000 persone, ma secondo me sono molte di più». Assieme a Lucio Caputo, Ruggero Rossi e Francesco Ambruoso, Gina si racconterà domenica 11 settembre alle 21 su History (Sky, canale 407) nello speciale «11/9: Gli italiani nelle Torri». «In America da 10 anni» ricorda la Lippis «lavoravo al 46° piano della Torre Nord. Ero andata al bar a prendere un caffè, e stavo estraendo il mio dollaro per pagare». D’improvviso, il primo schianto e la corsa disperata dalle scale, aggrappata alla cintura del suo capuffucio. «Mi sono detta: è finita. Un botto micidiale. Ora qui ci crolla la torre addosso. Volava di tutto, oggetti, cartacce. Io non avevo paura, mi muovevo come un automa. Ho visto una donna volare e schiantarsi sul cemento, corpi straziati. Scappando, sembrava di scendere all’inferno. Sono viva, ma ora mi sento in colpa per quelli rimasti là». Già, la seconda parte dello strazio è cominciata cinque mesi dopo. «Credevo di farcela da sola, invece cominciai ad avere incubi, a dormire sempre meno. Sono stata in terapia per tre anni seguita da due persone. Affranta per essermi salvata al posto di un padre o una madre di famiglia, io che non ce l’ho. Ho passato un lungo periodo in cui alternavo giorni in cui pensavo di tirarmi un colpo, ad altri di relativa tranquillità. Poi la vita continua, i medici mi hanno spiegato che dovevo uscirne da sola. L’unica cosa che so è che del tutto non ne verrò mai fuori. Ancora oggi alterno giorni normali ad altri di improvvisa e immotivata depressione. Per un certo periodo sono andata a piangere a Groud Zero due-tre volte la settimana, insieme con altri sette sopravvissuti coi quali facevo sedute di gruppo: un giornalista, un pompiere, un collega che ha recuperato corpi là sotto e che oggi è fuori di testa, non si è più ripreso. Ogni anno l’11 settembre sono andata là. Stavolta non so: sono nervosa, agitata. Forse verserò lacrime a un concerto nella cattedrale di Saint Patrick. Finisce sempre che piango». E l’odio? «Non so odiare, ma provo tanta rabbia nei confronti di queste persone che ci hanno rovinato. O forse, come dice qualcuno, è successo perché tutti noi abbiamo fatto in modo che succedesse».
(TV SORRISI E CANZONI - SETTEMBRE 2011)
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