martedì 9 agosto 2011

ZUCCHERO «SUGAR» FORNACIARI * «IL MIO SEGRETO? MESCOLARE SACRO E PROFANO»

Non ce ne voglia Jovanotti, ma «Il più grande spettacolo dopo il Big Bang» è vedere mister Zucchero «Sugar» Fornaciari che affronta il servizio fotografico di queste pagine. «Quando sei pronto, dimmelo, che faccio l’asino» intima all’esigente fotografo. Per poi attaccare un rosario di suoni gutturali e vocali trascinate (a suo dire) funzionali alla migliore resa della raffica di scatti. Ogni tanto gli scappa un disperato «Perché?», ma poi esegue puntiglioso. E quando deve salire scalzo su un tronco d’albero mozzato, avvisa i presenti: «Facciamo attenzione, perché ho i piedini della Principessa Sissi…».


Zucchero, «Vedo nero» spopola. Com’è che alla fine arriva lei e imbrocca sempre la canzone?

«Beh, siamo nel 2011, ho iniziato a fare musica nell’81, quindi ormai sono 30 anni…».
E non si è neanche giocato il bonus delle celebrazioni per il trentennale…
«Lo farò a settembre, per il mio compleanno, all’Arena di Verona… Ma dicevo: scrivo canzoni, sono un cantante con una voce, grazie a Dio – così dicono fuori dall’Italia, più che qui – importante. E lo dicono colleghi come Bono, Sting, Solomon Burke, B.B. King… Insomma uno che rientra in quella fascia lì».
Fascia impegnativa…
«E quando scrivo, non metterei mai il punto. Per l’ultimo disco, “Chocabeck”, sono arrivato alla fine scegliendo fra 35 canzoni. Non ho mai pensato: ora ho due singoli, altri sono nel cassetto, ne metto uno vecchio, rinfresco il tutto, e il cd l’ho portato a casa».
La sua cifra, comunque, è ammiccare sempre a un mondo giocoso e godereccio.
«Uso un sacco di doppi sensi: è la mia parte goliardica, figlia della generosa Emilia; cose da non sottovalutare e non minori, che metto nei ritmi veloci. Se fai un disco tutto di ballate riflessive e spirituali, sai che due c…».
Mescolare sacro e profano.
«Sì, questo è il mio segreto, ed è lo specchio della mia produzione e della mia vita. Sono nato davanti a una chiesa, facevo il chierichetto, e andavo anche alla sede del Partito Comunista. Da allora sto nel mezzo, tanto in definitiva non mi convincono né una, né l’altro».
Lei dice che c’è più metodicità che ispirazione nel suo modo di lavorare. Dalle 9 alle 5, orario continuato. Un po’ ragionieristico, no?
«Sì, ma detta così sembra due più due, quattro. Intendo: più fai un mestiere creativo, più ti avvicini all’arte. La famosa ispirazione mi ha colpito una volta visitando la casa di “Via col vento”, in Louisiana. Altre due volte, in aereo. Ma la verità è che mi impongo di entrare in studio, a casa, anche se non ne ho voglia, anche se non c’è una ragione. Mi ritiro per sei mesi come in convento».
Ora et labora.
«Sì, ed è un sacrificio. Infatti non scrivo d’estate, solo autunno e inverno, col freddo, in intimità, senza distrazioni. E ora sono un marchio d’origine controllata: il pubblico sa che non esco con un disco se non ci sono almeno 10-11 canzoni volute, cesellate».
A proposito di convento: Baglioni dice che ci andrà, al momento di ritirarsi. Lei che cosa ne pensa?
«Io ne aprirò uno, ma come dico io. Con le suore che ti accudiscano in tutto e per tutto».
Perché ha cambiato cinque manager nella sua carriera?
«Con i manager all’inizio c’è un grande entusiasmo, poi alcuni si siedono, non sono più affamati, o attenti. Non ti possono più dare. Attenzione: io sono fedele. L’ultimo è con me da otto anni. Non faccio il divo capriccioso che dice: non mi basti più. Ma se li vedi assenti, e poi ti trovi solo…».
Ha bisogno di essere coccolato?
«Ma no, sono nato sul marciapiede. Però ho bisogno di una persona seria, che non si approfitti di me, delle mie fragilità, che non mi racconti balle. Ho bisogno di scambiare idee, di un mezzo creativo. La figura del manager è un po’ vecchia: molti artisti enormi non ne hanno più, oppure è la moglie o un vecchio tour manager fidato».
Quante volte ha dovuto obbedire ai discografici?
«Raramente. È capitato per qualche singolo da mandare alle radio. Io volevo qualcosa di più sofisticato, e loro spingevano per cose più commerciali. Spesso hanno avuto ragione loro: fosse stato per me, “Per colpa di chi” o “Senza una donna” non sarebbero mai diventati singoli».
Vasco Rossi ha detto: «Mi dimetto da rockstar». Che cosa ne pensa?
«Lui mi diverte da quando si usciva insieme, tanti anni fa. Io avevo la mia ex, che poi è diventata mia moglie, e lui la sua ragazza. Io andavo a Zocca e lui veniva a Carrara o Forte dei Marmi. Andavamo per trattorie. C’era anche il povero Franco Fanigliulo. Ci siamo sempre stimati. Ogni tanto fa uscite estemporanee, come posso farne io, ma è genuino, buono. Anche quando tira fuori qualche scerpellone… So perché lo fa, e non mi offendo».
Tipo?
«Una volta disse al Corriere: “Zucchero vuole scrivere un libro. Eh, figuriamoci…”. Come a dire: ci manca anche lui. Gli ho spedito un sms con una frase scocciata in dialetto, e mi ha subito risposto: ma no, non ho detto così, hanno capito male… La sua decisione è legittima: ha avvisato tutti che non vuole più avere una montagna sulle spalle, da sopportare. Vuole essere libero e leggero».
Lei lo sente questo peso?
«È notevole, glielo assicuraro: magari in Italia non faccio gli stadi che fa lui, ma metto insieme tour mondiali di un anno e mezzo, 150-200 date. Un frullatore. Pensa che a volte non mi alzi pensando: chi me lo fa fare?».
Non ha fissato una data di «scadenza»?
«Mannò. Vede, ci sono tre strade: o trovi un altro interesse molto forte che non ti faccia mancare la musica, o lasci, per scelta, all’apice, come i Beatles, Mina, Battisti. Oppure continui a fare questo mestiere solo perché ti piace, senza dover più dimostrare o fare gare assurde coi colleghi: quello ha fatto uno stadio, io ne voglio due. Quello ha la scenografia coi fantasmi, ne ordino una».
Nel suo approccio alla comunicazione esiste uno Zucchero prima e dopo il traumatico incontro con Staffelli di «Striscia»?
«Bella domanda. Ho sofferto molto per quella storia e non ho mai voluto pubblicizzarla più di tanto per non rimestare nel pentolone. Credo di aver subito un’ingiustizia e ho reagito in modo non diplomatico, dimenticando chi sono, cioè un personaggio pubblico. Ho reagito come Adelmo, non come Zucchero. Il pubblico però mi segue come e più di prima. Questa cosa non mi ha cambiato. Mi ha solo fatto diventare un po’ più furbo. Spero».
A posteriori possiamo dire che «Solo una sana e consapevole libidine» l’ha salvata non dallo stress, ma dall’Azione cattolica…
«Di certo dallo sport, e si vede» (sguardo sbarazzino mentre si accarezza lentamente la pancia)


(TV SORRISI E CANZONI - LUGLIO 2011)

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