MILANO - "Per rispetto alla memoria di Enzo Tortora, chiedo ai telespettatori: se oggi si imbatteranno in un programma Tv rievocativo, con il conduttore che mostra un pappagallo verde e ha un occhio umido e l' altro che guarda all' audience, per favore cambino canale; oppure scrivano un telegramma a quella rete con la scritta: seppellitevi di vergogna!". Non dice mai "mio fratello", Anna Tortora. Ne parla con l' indignazione "di chi non può e non deve dimenticare", ma usa sempre nome e cognome.
Signora Tortora, perché invita alla "diserzione" televisiva delle commemorazioni di suo fratello? "Perché Enzo Tortora non merita di essere ricordato così, fra lustrini e pappagalli. Lui ormai rappresenta ben altro".
Chi l' ha invitata?
"Paolo Limiti a Ci vediamo in Tv, su Raidue, ma mi sono rifiutata di andare a fare piagnistei. Il caso Tortora, oltre a essere un dolore privato, non può finire in varietà: doveva insegnare qualcosa a questo Paese in materia di giustizia, doveva nascere come minimo una "legge Tortora"".
Perché?
"Perché ha fatto venire a galla tutti i mali del sistema: la lunghezza della carcerazione preventiva, la sistematica violazione del segreto istruttorio, le disfunzioni del Csm, la responsabilità penale e civile dei giudici, le leggerezze sul pentitismo".
Che cosa le è rimasto dentro?
"Sconforto. E amarezza per avere constatato l' incapacità delle istituzioni di rimediare, di fare tesoro. Ho visto sordità, cecità e altre pietre buttate sulla sua tomba".
Che cosa significa?
"Per alcune Procure di questo Paese Tortora non è mai morto abbastanza, vorrebbero che sparisse anche dalla testa della gente: ricorda troppi errori, è un tarlo. Anche per i mass media, che Enzo chiamava "gas media". E che vogliamo dire delle archiviazioni indecorose delle denunce che noi abbiamo poi presentato? O delle promozioni dei magistrati che l' hanno perseguito? Sansone lo condannò a 10 anni e ora è presidente della quinta sezione di Cassazione a Roma; con Lucio Di Pietro e Di Persia ebbe a che fare nell' 83: uno è capo della Dia di Napoli e l'altro è nel Csm; Marmo, il pm che lo definì "cinico mercante di morte", è procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere, e Fontana ora è giudice istruttore".
Che cosa fa, allora, per ricordare suo fratello?
"Andrò fra i detenuti. Oggi alle 9.30, nel carcere di San Vittore, a Milano, ci sarà un' intera mattinata in onore di Enzo. Parleremo della proposta di legge per un' alternativa al carcere, presentata dall' onorevole Simeone di An, e al termine i detenuti-attori della compagnia La nave dei folli diretta da Donatella Massimilla leggeranno brani di Wilde, Dickens e lettere dal carcere, loro e di Enzo".
Sarà un appuntamento fisso?
"Voglio che il 18 maggio di ogni anno diventi il giorno dell' ippogrifo, come Enzo Tortora chiamava il carcere. Perché, diceva, tutti sanno che esiste ma nessuno sa cosa sia. E' il testamento che mi ha lasciato: passerò da Rebibbia a Regina Coeli, da Marassi all' Ucciardone, per fare il punto sulla situazione carceraria e della giustizia. Niente pappagalli: questo è il modo per non dimenticare".
(IL GIORNALE - MAGGIO 1998)
Signora Tortora, perché invita alla "diserzione" televisiva delle commemorazioni di suo fratello? "Perché Enzo Tortora non merita di essere ricordato così, fra lustrini e pappagalli. Lui ormai rappresenta ben altro".
Chi l' ha invitata?
"Paolo Limiti a Ci vediamo in Tv, su Raidue, ma mi sono rifiutata di andare a fare piagnistei. Il caso Tortora, oltre a essere un dolore privato, non può finire in varietà: doveva insegnare qualcosa a questo Paese in materia di giustizia, doveva nascere come minimo una "legge Tortora"".
Perché?
"Perché ha fatto venire a galla tutti i mali del sistema: la lunghezza della carcerazione preventiva, la sistematica violazione del segreto istruttorio, le disfunzioni del Csm, la responsabilità penale e civile dei giudici, le leggerezze sul pentitismo".
Che cosa le è rimasto dentro?
"Sconforto. E amarezza per avere constatato l' incapacità delle istituzioni di rimediare, di fare tesoro. Ho visto sordità, cecità e altre pietre buttate sulla sua tomba".
Che cosa significa?
"Per alcune Procure di questo Paese Tortora non è mai morto abbastanza, vorrebbero che sparisse anche dalla testa della gente: ricorda troppi errori, è un tarlo. Anche per i mass media, che Enzo chiamava "gas media". E che vogliamo dire delle archiviazioni indecorose delle denunce che noi abbiamo poi presentato? O delle promozioni dei magistrati che l' hanno perseguito? Sansone lo condannò a 10 anni e ora è presidente della quinta sezione di Cassazione a Roma; con Lucio Di Pietro e Di Persia ebbe a che fare nell' 83: uno è capo della Dia di Napoli e l'altro è nel Csm; Marmo, il pm che lo definì "cinico mercante di morte", è procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere, e Fontana ora è giudice istruttore".
Che cosa fa, allora, per ricordare suo fratello?
"Andrò fra i detenuti. Oggi alle 9.30, nel carcere di San Vittore, a Milano, ci sarà un' intera mattinata in onore di Enzo. Parleremo della proposta di legge per un' alternativa al carcere, presentata dall' onorevole Simeone di An, e al termine i detenuti-attori della compagnia La nave dei folli diretta da Donatella Massimilla leggeranno brani di Wilde, Dickens e lettere dal carcere, loro e di Enzo".
Sarà un appuntamento fisso?
"Voglio che il 18 maggio di ogni anno diventi il giorno dell' ippogrifo, come Enzo Tortora chiamava il carcere. Perché, diceva, tutti sanno che esiste ma nessuno sa cosa sia. E' il testamento che mi ha lasciato: passerò da Rebibbia a Regina Coeli, da Marassi all' Ucciardone, per fare il punto sulla situazione carceraria e della giustizia. Niente pappagalli: questo è il modo per non dimenticare".
(IL GIORNALE - MAGGIO 1998)