Che cos’è la balbuzie? La ripetizione involontaria di parole, sillabe o frasi durante un discorso; tutte quelle pause o quei blocchi che impediscono a chi balbetta di produrre suoni regolarmente. Condizionando quindi in maniera rilevante la sua vita sociale. Raramente sono originate da un un trauma; quando succede, in genere, esiste già una predisposizione. «Il loro nome scientifico» dice la dottoressa Donatella Tomaiuoli, del Centro Ricerca e Cura Balbuzie di Roma «è disfluenze verbali. Non una malattia, ma un disturbo della comunicazione e del linguaggio che crea difficoltà di relazione perché porta il paziente a isolarsi».
Basta con i luoghi comuni
Affrontando il problema, che - come tutti quelli legati al linguaggio - colpisce soprattutto la popolazione maschile, bisogna togliere di mezzo i luoghi comuni. «Di questo disagio» prosegue «soffrono persone particolarmente intelligenti, sensibili e profonde, non certo il contrario. Persone che non vogliono esporsi per timore di essere giudicate. La balbuzie non è invalidante, ma il disagio che determina è profondo. Ci sono alcuni che fanno la spesa solo nei self service per evitare di dover parlare con qualcuno al banco di un negozio; altri che non frequentano i multisala ma solo i cinema con un solo film in programmazione, per non incespicare dicendo alla cassiera il titolo della pellicola che vogliono vedere; altri ancora che a scuola preferiscono risultare impreparati piuttosto che dimostrare a tutti di essere balbuzienti. Fra l’altro spesso la scuola non è pronta ad accogliere le persone che soffrono di questo disturbo».
Molto si gioca tra i banchi
Già, la scuola. Come può essere d’aiuto, oppure - di riflesso - d’inciampo in casi come questi? «A volte c’è la tendenza a non coinvolgere nelle letture di classe i soggetti balbuzienti, oppure istituire gare a premi di lettura veloce che li vedono inevitabilmente svantaggiati. In altri casi, se c’è una recita, si tende a dare a chi balbetta il ruolo più semplice e defilato. Quello con meno dialoghi». E poi, talvolta, ecco le prese in giro dei compagni. Quelle che fanno male ma a volte aiutano a crescere. Un giorno un ragazzo balbuziente ha liquidato un coetaneo che gli faceva il verso con una frase che racchiude tutto il disagio di questa condizione: «Smettila: sappi che balbettare è molto difficile, e tu non lo sai fare!». E pensare che in alcuni casi tutto fila liscio: quando si gioca a carte; quando si è in discoteca, protetti dalla musica assordante. E dopo aver bevuto qualche (sconsigliabile) bicchiere di troppo, perché si perde un po’ il controllo di se stessi.
Il fattore ereditario
La balbuzie è un fatto (anche) organico, o squisitamente psicologico? «Fino a poco tempo fa» continua la Tomaiuoli «la si collegava solo a fattori psicologici, ma recenti studi condotti in America hanno stabilito che può esistere anche un legame genetico, una componente ereditaria. Paradossalmente, le forme lievi a volte sono più difficili da curare di quelle più complicate. Ciò è dovuto al fatto che nelle forme gravi, il paziente ha in genere maturato un’accettazione del problema, e quindi si lascia andare e si mette in gioco di più. Nei casi lievi, con balbuzie che si presentano per un po’ e poi scompaiono, la persona tende a chiudersi maggiormente per paura di una ricaderci».
Non passa mai del tutto
I casi di miglioramento, anche vistoso o sorpredente, sono tantissimi. E inducono all’ottimismo. Eppure... «Eppure bisogna essere onesti chiarendo subito che da questo disturbo non si guarisce mai totalmente» puntualizza la Tomaiuoli. «Ed è meglio diffidare di chi promette miracoli in 20 giorni. In genere si tratta di ex balbuzienti che hanno aperto centri non riconosciuti, o cose simili. Il mio consiglio è di rivolgersi a strutture riconosciute dallo Stato, o private nelle quali l’approccio sia comunque scientifico. La cosa migliore è un lavoro il più possibile personalizzato e a 360°. Al di là delle tecniche di facilitazione verbale che lavorano sul sintomo, da effettuare con un logopedista (si impara la respirazione, per poi passare all’eloquio spontaneo) oppure il lavoro integrato con uno psicologo, bisogna fare in modo di migliorare la qualità di vita del paziente. Per questo noi puntiamo molto su public speaking, doppiaggio e teatro (i bambini leggono e ripetono fiabe in sala di registrazione, per realizzare un cd), coinvolgendo le persone in progetti anche non semplici, che - visti i risultati finali - possano indurre ad aumentarne l’autostima». L’obiettivo finale è far sì che il soggetto non si consideri più: Mario Rossi, 21 anni, balbuziente. Ma: Mario Rossi, 21 anni, persona socievole e positiva, buone doti sportive, con hobby e passioni e “anche” balbuziente. Sul fronte della prevenzione, invece, è possibile fare qualcosa?
Fisiologica o strutturata?
«Già in età prescolare un esperto riesce a capire con una certa precisione se ci si trova di fronte a una piccola balbuzie fisiologica, destinata e rientrare completamente, oppure a qualcosa di strutturato. Un segno tipico della balbuzie, è la ciclicità. Di norma un profano è portato a credere che se si presenta senza regolarità, non si tratta di vera balbuzie. Invece è l’esatto contrario: la ciclicità nel manifestarsi è indice di balbuzie strutturata». Anche nelle dinamiche familiari (oltre ad evitare ai bambini - se possibile - stress come traslochi, trasferimenti e cambi improvvisi di abitudini) si può fare molto per aiutare chi balbetta.
L’importanza dell’ironia
«Servono» spiega la Tomaiuoli «ironia e autoironia, che vanno inculcate nel bambino. Prima impara a scherzare sul problema, prima accetterà le prese in giro. Non lo si deve rimproverare perché balbetta. Ho saputo di un medico di base che ha consigliato ai genitori di un bimbo un’assurda terapia: tenerlo in silenzio per 15 giorni, come se si fosse rotto una gamba. Niente di più sbagliato. In realtà in famiglia, per esempio a tavola, se si hanno due o più figli, è bene stabilire una sorta di minutaggio a esclusiva disposizione di ognuno per consentire anche al ragazzo balbuziente di tranquillizzarsi e parlare senza essere scavalcato dai fratelli».
Gli artisti della voce
A volte questi inciampi vocali diventano addirittura di successo. Balbetta saltuariamente Paolo Bonolis e con lui il fido Luca Laurenti. Capace smettere del tutto quand’è il momento di salire sul palco per cantare. Caratteristica che lo accomuna a Stefano Filipponi, appena uscito da «X-Factor». «Queste persone smettono di balbettare quando cantano perché seguono il ritmo, sono concentrate su quello e il resto passa in secondo piano. Anche l’attore Fiorenzo Fiorentini balbettava, fino a un minuto prim che si alzasse il sipario. Si tratta di professionisti. È come se in quel momento, calandosi in un personaggio, fosse un’altra persona a parlare».
(SORRISI SALUTE! - NOVEMBRE 2010)