Inutile nascondersi dietro una tonaca. Il problema di Don Walter era l'alito. Pesante. Pestilenziale. Plumbeo. Altroché Listerine: neppure con soffumigi d'incenso allo stato puro sarebbe riuscito a lenire il Male che era dentro di lui. L'alito di Satana? No. L'Alito e basta. Anzi, l'alito che basta e avanza. Ovvio che i fedeli lo guardassero (e soprattutto lo fiutassero) con quella speciale diffidenza che si riserva alle persone olfattivamente distoniche.
Un'antica leggenda parrocchiale voleva che riuscisse a spegnere le candele sull'altare stando a un centinaio di metri di distanza. Con ovvie perdite di fedeli nei dintorni, stile "fuoco amico", per intendersi. Frottole. Di certo, però, provvisto di cotanto disincentivo naturale ai rapporti sociali, fosse vissuto ai tempi di Gesù Cristo, sarebbe riuscito a scacciare i mercanti dal Tempio come se nulla fosse.
Contro di lui non ho mai avuto niente. Niente. Il problema cocente, però, era il delicato sacramento della confessione. Avvicinarmi a quella grata bucherellata - per giunta piazzata all'interno di un piccolo catafalco di legno semi-blindato - a pochi centimetri di distanza dalla sua bocca, è stata un'esperienza mistica che mi ha segnato nel profondo. I contorni di quelle labbra li intuivo appena: un'ombra fra il buio e la luce. Non percepivo la forma, ma ne avvertivo la sostanza. Una lama penetrante, disgustosa e - purtroppo - inevitabile. Accostarsi alla confessione voleva dire doversi accostare a Don Walter. Dopo il delitto, il castigo, insomma. La catarsi. La pena del contrappasso.
L'unica via d'uscita era turarsi il naso (certo, diabolico, anche lui non poteva vedermi!) sciorinare i miei peccati alla velocità della luce scusandomi per il letale raffreddore che mi portava a parlare "un po' nasale". Incassare la penitenza (come se non fosse già bastata l'altra) e poi dileguarmi come lo Spirito santo.
Riflettendo su quel curioso alito di fede che si era appena posato su di me.