sabato 10 aprile 2010

DAVID * VERDONE, NON PIAGNUCOLARE: ERA UN FILM DA 6 (NON DI PIU')

Che profonda tristezza vedere Carlo Verdone, il grande Carlo Verdone, che piagnucola per non essere finito nella rosa delle candididature ai David di Donatello con «Io, loro e Lara». 18 a Paolo Virzì per «La prima cosa bella»; 15 per «Vincere» di Marco Bellocchio; 14 a «Baarìa» di Giuseppe Tornatore; 13 alle «Mine vaganti» di Ferzan Ozpetek.
E Verdone, che cosa fa? Sullo sfondo, frigna come un bambino: «E' deprimente, sono molto dispiaciuto perché lo ritengo uno dei miei primi quattro film ...  Mi è sembrato un atteggiamento oltre lo snobismo, quasi che il grande incasso, 16 milioni e mezzo di euro, fosse un problema. Come a dire: tanto il premio l'ha già avuto. Fortunatamente, 3 milioni di persone che hanno visto il mio film non la pensano come i 1592 componenti della giuria».
Qui l'Enrico Lucci de «Le iene» probabilmente esclamerebbe, in loop: «Ma si rende conto? Ma si rende conto? Ma si rende conto?».
Caro Carlo, a parte il fatto che «Io, loro e Lara» è una fragile commediola da sufficienza risicata (troppo poco per ambire a quello che in teoria è l'oscar italiano), accontentati di fare l'attore, il regista, lo sceneggiatore. Senza sbatterci in faccia i tuoi milioni di spettatori. E lascia ai critici l'ingrato ruolo di critici. Oppure i premi e le candidature vanno assegnati per diritto divino? Esiste un decreto legge anche per questo?
Spiegacelo, fra una polemica (inutile) e l'altra.

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